Cultura

E la città ferita scoprì i volontari del dialogo

La pioggia di insulti sui siti delle associazioni musulmane ha suscitato lo sdegno dei londinesi. E tanti di loro offrono il loro tempo per combattere l'intolleranza

di Carlotta Jesi

Per sconfiggere Osama Bin Laden è più efficace una fatwa contro i terroristi come quella invocata dai mullah della capitale inglese o la mediazione interculturale? Londra non ha dubbi: meglio la seconda.

Cliccate, per credere, sul portale della principale associazione musulmana britannica, il Muslim Council of Britain (www.mcb.org): il 7 luglio, nella sua casella di posta elettronica, sono arrivate 30mila mail di insulti ma, appena la notizia è trapelata in tv, gli inglesi si sono affrettati a portare la loro solidarietà verso gli oltre 1,6 milioni di musulmani del Paese, il 3,5% della popolazione.

L?identikit dei londinesi indignati per le molestie telematiche contro i loro concittadini di fede islamica? Si sono attaccati al web per invitare alla tolleranza giovani come il 27enne Tony, «sappiate che non tutti gli inglesi sono razzisti, per favore ignorate questi commenti ignoranti», ma anche come la 60enne Rosemery Toop: «Sono stata educata al rispetto degli altri, indipendentemente dalla loro fede. Prima di andare in pensione ho lavorato fianco a fianco con dei musulmani, sono stata curata da medici musulmani e da loro non ho mai avuto altro che rispetto. Il razzismo nasce dalla mancanza di conoscenza reciproca, dal divario che separa etnie diverse».

Divario che, per la verità, nessuna città si sforza di colmare più di Londra. Con una risorsa che non costa nulla, i volontari. Solo quelli registrati nel database di TimeBank (www.timebank.org.uk), portale online che fa incontrare domanda e offerta di volontariato, sono 100mila. «Dopo gli attentati abbiamo ricevuto molta disponibilità a dare una mano. Solo a Londra, sono 33mila i volontari operativi», svela a Vita Louise Clifton, una delle responsabili del portale, «e molti di questi sono stati conquistati dalla nostra campagna Mind the gap che invita a donare il proprio tempo ai giovani appartenenti a minoranze etniche».

Compresa quella musulmana, altrettanto impegnata a costruire ponti con i sudditi di Sua Maestà: «La mediazione culturale è lo strumento più prezioso che abbiamo per combattere il terrorismo», spiega Fiaz Hussain, direttore dell?Ufficio welfare per la Uk Islamic Mission, una charity con sede a Londra e uffici in 40 città del Paese che, dall?inizio degli anni 60, lavora per promuovere il rispetto reciproco fra fedeli dell?Islam e di altre religioni. «Organizziamo molti eventi aperti a tutte le religioni», continua Hussain, «dal giorno di apertura delle moschee a quello di ?assaggio? dell?Islam alle Interfaith walks, giornate all?aria aperta in cui si riflette sul messaggio delle varie religioni».

Il messaggio del Corano, in particolare, col terrorismo non ha nulla a che fare. È la tesi espressa in numerose altre email spedite nei giorni immediatamente successivi all?attentato, questa volta a un forum del quotidiano inglese Guardian dedicato ai giovani islamici del Regno Unito.
Giovani, specifica il giornale, che in molti casi vivono nella Cool Britannia di Tony Blair, ma rimanendone ai margini: il 36% abbandona la scuola senza alcun tipo di diploma e un quinto dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni sono disoccupati.

Nonostante ciò, è la voglia di tolleranza e di mediazione che prevale nei loro messaggi. Da quello di Ajmal Masroor: «Li chiamano terroristi islamici, ma non c?è alcun Islam nel terrorismo. Per essere un musulmano devi accettare l?Islam, e l?Islam di certo non invita a scatenare il terrore visto che il suo principale obiettivo è di proteggere la vita», fino a quello di Saqeb Mueen: «Come londinese, e come musulmano, sono furibondo per ciò che è successo giovedì. Subito dopo aver scoperto che le Olimpiadi arriveranno nella città in cui sono nato, Stratford. È la mia Londra che è stata attaccata. I valori inglesi, così ben dimostrati il 7 luglio, non sono diversi dai valori islamici di preoccuparci per gli altri, di farci forza e di non perdere dignità davanti alle avversità».

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.