Presidenza del Consiglio, Unsc, Regioni, enti nazionali e regionali, Comuni, privato sociale: indubbiamente il servizio civile è oggetto di riflessione da parte di molte delle realtà sociali e civiche del nostro bel Paese. Senza problemi di bilancio, la convivenza era possibile, anche se talvolta mal sopportata. Ora la coperta è corta: sono poche le risorse finanziarie e siamo in piena crisi economica. Il governo, per bocca del sottosegretario Giovanardi, si è fatto carico di elaborare una riforma.
Una buona e necessaria scelta, con una incognita: scatenare una nuova versione dell’italico gioco del “chi vorrei buttare dalla cima della torre”. I vari attori paiono chiusi nel loro “particolare”, attenti a massimizzare i vantaggi (ovvero il controllo della “risorsa” servizio civile) e a disfarsi in modo elegante degli altri interlocutori, visti come concorrenti. Per dare respiro al servizio civile, dobbiamo assumere un approccio “concertativo”, basato sul reciproco riconoscimento e sulla consapevolezza che ognuno dovrà fare la sua parte per rilanciare il sistema e la “propria parte” consiste oggi nella messa a disposizione di risorse finanziarie “reali” per garantire che la barca non coli a picco. Il denaro non è tutto: la riforma non degenererà in veti incrociati se si legherà ai territori e alle esigenze formative dei giovani che lì vivono.
Occorre che la risorsa del servizio civile vada dove occorre formare, non per garantire forme spurie di reddito. Occorre premiare la messa in rete di risorse pubbliche e private, evitando la polverizzazione degli enti ovvero la crescita di mastodonti del servizio civile “fine a se stessi”. Concertazione, collaborazione, responsabilizzazione: sono i tre pilastri, uniti dall’architrave dell’aderenza al territorio, su cui può reggersi il nuovo edificio del servizio civile. In alcune realtà, anche regionali, questa “visione” la si sta percorrendo: auguriamoci, per il bene del servizio civile, che divenga un sentire comune.
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