Cultura

E il dottore disse: «Lei è persona sensibile?»

Questo è l’inizio di una delle undici storie raccolte nel volume "Culla di parole . Come accogliere gli inizi difficili della vita" (edizioni Bollati Boringhieri), raccolte da Lucia Aite.

di Redazione

Questo è l?inizio di una delle undici storie raccolte nel volume Culla di parole . Come accogliere gli inizi difficili della vita (edizioni Bollati Boringhieri), raccolte da Lucia Aite. La notte che abbiamo partorito, con noi c?erano due medici. All?inizio in sala travaglio mi sentivo un imbecille, alla fine quando gridavano a mia moglie di spingere, anche io spingevo. Tutto è andato benissimo, Giulia è nata, l?hanno lavata, l?hanno aspirata e l?hanno data alla mamma. Dopo qualche minuto venne il neonatologo e ci disse che la bambina aveva una malformazione. Ci sembrò uno scherzo di cattivo gusto. Mi invitò ad andare con lui al nido da Giulia, e strada facendo mi chiese: «Lei è una persona sensibile?». Questa domanda fu tremenda. Entrammo nel nido, il medico mi spiegava il problema di Giulia: era una atresia ano-rettale, ovvero il mancato sviluppo del retto e dell?ano. Non so come ho fatto a reggermi in piedi. Domandai se a parte l?anomalia la bimba stesse bene, e lui mi rispose: «Non sembra tanto male, considerata la situazione». Come se non bastasse, mi disse che a queste anomalie si potevano associare alterazioni cerebrali, e aggiunse che c?era una distanza superiore al normale tra i due occhi, insinuando implicitamente chissà quale altro problema. Il tutto finì con una pacca sulle spalle: «Mi dispiace, lei ora deve essere molto forte, anche per sua moglie». A quel punto ho capito cosa vuol dire essere impotenti. Di quei giorni mi è rimasta impressa anche la frase di un?infermiera del nido: «Noi questa bimba la portiamo nel cuore». Era un frase detta per gentilezza, ma per me fu pesante, sottolineava che mia figlia era diversa, era malata. Andai a registrare la nascita di Giulia e dovetti compilare un modulo al termine del quale c?era la domanda: «La bimba è malformata?». Spiegai all?assistente sociale che mi aveva dato il modulo che la bimba aveva un problema. Lei mi chiese se era risolvibile. «Spero proprio di sì», risposi. Per la prima volta ho sentito legalizzare la diversità di Giulia.

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