Welfare

È giunta l’ora del distretto etico

Puntare sull’impatto territoriale dei progetti, creando reti tra associazioni, cooperative, aziende private

di Luca Zanfei

Emergenza rifiuti in Campania evidenzia una volta di più la cronica difficoltà della politica italiana di occuparsi efficacemente del disagio del Mezzogiorno. Questa volta però il rischio è altissimo ed è lo stesso sviluppo del Paese a essere in gioco. Il Rapporto annuale dell?Istat non fa sconti: il ritardo socio-economico del Sud rischia di frenare la crescita italiana in Europa, se non si interverrà immediatamente con politiche di vero rilancio del welfare.

In cerca di ricette
Infrastrutturazione sociale è la parola d?ordine lanciata quasi un anno fa dalla Fondazione Sud che ancora aspetta di investire i suoi 300 milioni di euro in progetti di sviluppo, con al centro le esperienze condotte sul territorio dal terzo settore. Ma nella prassi tutto questo cosa vuol dire? «Vuol dire innanzitutto che il problema del Sud non si risolve con politiche centralizzate di investimento a pioggia o semplice istituzione di paradisi fiscali per le aziende inserite in zone franche», spiega il segretario generale della Cisl, Pierpaolo Baretta. «Lo sviluppo si crea risolvendo il disagio sociale e investendo sui casi di eccellenza».

Un?analisi condivisa dall?amministratore delegato della Bagnoli futura spa, Carlo Borgomeo, che insiste sull?esigenza di fare sistema e aggiunge che «è fondamentale dare impulso alla progettualità del fare impresa localmente, favorendone l?autonomia e il bisogno di innovazione. E la cooperazione è un esempio concreto, perché è riuscita a creare rete e a puntare sull?impatto territoriale dei progetti, investendo sul microcredito, come nel caso del progetto Fertilità, e contribuendo a far emergere dal sommerso fette di lavoro nero».

Obiettivo rete

Il futuro sembra essere, allora, quello di investire sulle esperienze di sistema già esistenti, incentivando la creazione di particolari distretti ?etici?. Vere e proprie reti tra cooperative, associazioni e aziende private che si identifichino nell?impatto sociale della propria attività. Gli esempi non mancano. Consorzi come Gesco, nati con i fondi comunitari e con il supporto di Coopfond e Banca Etica o, più recentemente, il progetto di Legacoop e Libera di valorizzare il marchio Libera Terra per creare una rete di aziende agricole e cooperative operanti nella legalità per la promozione dei prodotti locali. O ancora, le esperienze di turismo sociale e recupero del patrimonio culturale che il terzo settore ha impostato negli ultimi anni, ma mai del tutto sistematizzato.

Si potrebbe partire da qui per «formare una sorta di filiera del Sud», spiega Marco Musella, docente dell?università di Napoli, Federico II. «Un vero e proprio processo produttivo e di intervento sociale che potrebbe avere nella Fondazione Sud un fattore propulsivo nel collegare tra loro cooperative, ma anche imprese private, in un progetto di innovazione del mercato».

Finanziamenti, si cambia

Ma per prima cosa si tratterebbe di cambiare il meccanismo di finanziamento dei progetti. «Finora gli stanziamenti comunitari e nazionali come il Pon o il Por hanno avuto il solo merito di insegnare alle amministrazioni, e spesso anche alle cooperative, come fare fund raising», accusa Borgomeo «Questo perché invece di stabilire criteri di controllo e indirizzo, si imponevano dall?esterno gli stessi obiettivi degli interventi. Il risultato è stato quello di creare una generale inefficacia degli investimenti e qualche buona esperienza di consorzio che deve però essere implementata».

Come fare allora? Musella non ha dubbi: «La Fondazione dovrà dare il buon esempio e investire sul merito dei progetti e sulla specificità delle competenze», aggiunge Musella. «Bisogna invece scoraggiare quei casi di consorzi e collaborazioni dove l?obiettivo diventa solo quello di partecipare tutti, in nome della rappresentanza di precise istanze. L?innovazione per il terzo settore non è solo nei progetti, ma anche nei metodi di approvvigionamento dei fondi».

Scuola e governo

In questo senso, grande valore potrebbe avere un progetto di supporto al sistema scolastico e formativo, così come propugnato dalla fondazione. «Partendo dalla legalità, la cooperazione deve fare da filtro tra scuola e realtà sociale nel campo dei valori e della loro applicazione pratica», propone il vicepresidente del Cnel, Giuseppe Acocella. «Inoltre, grazie alle sue competenze nell?inserimento lavorativo può far sì che la formazione riesca ad avere un riscontro immediato nel mondo dell?occupazione. Bisogna fermare il crescente processo di migrazione verso il Nord dei giovani creando dei collegamenti diretti tra le università e il mondo della cooperazione sociale nei settori di valorizzazione della cultura e delle risorse locali».

Ma la spinta non può venire solo dal mondo del terzo settore, «deve essere il governo centrale a promuovere tavoli nazionali di concertazione nei quali, oltre alle associazioni di categoria e ai sindacati, si coinvolgano anche gli enti locali e il privato sociale», aggiunge Baretta. «Così si potrebbero definire efficacemente piani strategici e implementare i patti territoriali, che finora sono stati gli unici strumenti di reale intervento sul territorio».


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