Mondo

È emergenza colera

Oltre mille vittime, ospedali e organizzazioni umanitarie in prima linea per combattere l'epidemia

di Redazione

«Stiamo lavorando con l’Organizzazione mondiale della sanità per creare una cintura sanitaria che impedisca il diffondersi del contagio. In questo senso abbiamo allestito due tende per ospitare i malati, impedendo che entrino in contatto con gli altri pazienti del nosocomio. Purtroppo qualche giorno fa una bimba di due anni è mancata». A parlare al telefono da Port-au-Prince, è padre Antonio Menegon dei Camilliani, che ad Haiti gestiscono un ospedale. La loro struttura è fra quelle in prima linea nella lotta per contrastare il colera.

Continua a salire intanto il bilancio delle vittime dell’epidemia ad Haiti. I primi casi sono stati denunciati lo scorso 22 ottobre nella regione di Artibonite, a nord della capitale Port au Prince e secondo gli ultimi dati del ministero della Sanità haitiano i morti sono arrivati a 1034 e e 16.799 sono ricoverati in ospedale. E’ stato segnalato anche un primo caso oltrefrontiera, nella Repubblica Domenicana.

Nell’isola devastata lo scorso gennaio dal terremoto che ha ucciso 230mila persone, e dove, soprattutto nella capitale, un milione e mezzo di sfollati vivono in accampamenti di fortuna, si teme che fino a 200mila persone possano essere contagiate dal colera, secondo le stime dell’Onu che ha chiesto alla comunità internazionale 163 milioni di dollari per le operazioni di contenimento dell’epidemia.

A coordinare il contrasto dell’epidemia e a curare i contagiati è al momento soprattutto Medici senza frontiere. «Abbiamo organizzato dei centri colera dove curiamo i pazienti e cerchiamo di isolare l’epidemia» spiega a Vita.it Rosa Crestani, responsabile delle urgenze mediche di MSF. «Siamo molto preoccupati, perchè i casi sono in continuo aumento. Il colera non è una malattia difficile da debellare, ma bisogna garantire acqua pulita e informare le persone sulle norme igieniche da osservare, quindi è di vitale importanza la formazione del personale sanitario e la sensibilizzazione fra la popolazione».

«Dopo il terremoto non si temeva il colera ma epidemie di tetano, febbre tifoide, morbillo ed è partita subito la vaccinazione» continua Crestani. «Quel che è certo è che ad Haiti, e in particolare a Port-au-Prince c’erano tutte le condizioni perché esplodesse, ovvero pessime condizioni igieniche, difficoltà di accesso ad acqua pulita e sicura, sovraffollamento nei campi sfollati».

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