Cultura

E dopo Wojtyla? una sorpresa latino americana

Le porpore dell'America Latina sono 27 e guidano un continente dove vivono la metà dei cattolici del mondo. Un vaticanista ci spiega perché il nuovo Papa verrà scelto tra loro

di Andrea Tornielli

Con il concistoro dello scorso febbraio l’America latina può oggi contare su 27 cardinali elettori, quei cardinali, cioé, che avendo meno di ottant’anni hanno il diritto di entrare in un eventuale conclave. Si affaccia così, sempre più spesso, nelle analisi degli osservatori di cose vaticane, l’ipotesi dell’elezione di un Papa latinoamericano. Premiato da Giovanni Paolo II con numerose berrette rosse, il cosiddetto “Continente della speranza” – di cui si è sentito parlare sempre meno, dopo che con la caduta del Muro di Berlino non è più il luogo strategico della lotta degli Stati Uniti contro le formazioni marxiste, l’America latina rappresenta ormai più della metà dei cattolici del globo e può contare oggi su una nuova generazione di vescovi e di cardinali.
Questa nuova “classe dirigente” della Chiesa latinoamericana è composta da prelati che si conoscono, si stimano, sono amici e non giocherebbero mai l’uno contro l’altro nel caso si affacciasse la concreta possibilità di far arrivare uno di loro sulla cattedra di Pietro. Hanno in comune l’essere quasi tutti diventati vescovi sotto il pontificato di Karol Wojtyla, l’essere stati nominati da lui cardinali, l’aver condiviso le linee guida di questo pontificato. Allo stesso tempo, la loro provenienza e la loro esperienza di vescovi in situazioni spesso difficili li ha resi molto aperti ai problemi sociali.
Nel conclave del futuro è dunque probabile che la partita si giochi tra i sostenitori di un Papa italiano (in pole position fino a questo momento appare Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Genova, che nei pronostici ha scalzato Carlo Maria Martini) e quelli del Papa del centro o del sud America. Rispetto agli italiani, i latinoamericani hanno un vantaggio: ci sono diversi “papabili” nelle loro fila. Ecco le figure emergenti.
Colombia/Darío Castrillón Hoyos
E’lui il grande mediatore

Se la successione fosse questione da risolvere in tempi brevi, il colombiano Darío Castrillón Hoyos è senza dubbio il favorito: 71 anni, Prefetto della Congregazione per il clero, ha trascorso quasi tutta la sua vita in America Latina. È tra coloro che hanno avuto il privilegio di conoscere bene Karol Wojtyla diversi anni prima della sua elezione al papato. Nonostante la laurea in diritto canonico, le specializzazioni in sociologia, economia politica ed etica economica, nonostante le numerose lingue parlate alla perfezione, Castrillón Hoyos è uno che non ostenta la sua cultura ed è capace di parlare con semplicità e in modo diretto.
Vescovo dal 1971, dopo aver fatto il vicario parrocchiale in campagna, è stato prima segretario generale (1983-1987) e poi presidente (1987-1991) del Celam, il Consiglio episcopale latinoamericano. Da vescovo di Pereira prima, e di Bucaramanga poi, ha dovuto fare i conti con la guerriglia e il narcotraffico. Un’avventura rocambolesca è stato il suo incontro – in veste di mediatore scelto dalle autorità governative e dagli stessi narcotrafficanti – con il capo del cartello di Medellìn. Poco prima che lasciasse la sua arcidiocesi colombiana, è stato attaccato duramente dalla massoneria locale che gli ha dedicato un velenosissimo documento ad hoc. Giovanni Paolo II, che da tempo sperava di chiamarlo a Roma, lo ha nominato alla guida della Congregazione per il clero nel 1996 e due anni dopo l’ha fatto cardinale. Castrillón Hoyos è affabile, ama il contatto con i fedeli e ha nostalgia del lavoro pastorale in diocesi. Nel 2000 è diventato presidente di Ecclesia Dei, la pontificia commissione che si occupa del recupero dei tradizionalisti.
In questi mesi, il grande mediatore, è impegnato in una missione quasi impossibile ma fortemente voluta dal Papa: far rientrare il mini-scisma dei seguaci di monsignor Lefebvre, il prelato anticonciliare che nel 1988, contro la volontà della Santa Sede, ha ordinato quattro nuovi vescovi abbandonando la comunione con Roma. Il cardinale colombiano ha portato avanti le trattative, ha invitato a pranzo i quattro vescovi e sta studiando una soluzione per rimarginare l’unico scisma dichiarato del XX° secolo.
Il suo prestigio nella Curia romana e sulla scena ecclesiastica internazionale si è molto accresciuto negli ultimi anni. Tanto che nel mondo non c’è classifica dei cardinalipapabili che non lo annoveri. Parla un ottimo italiano ed è questa, come noto, un’ulteriore chance.
Alla domanda se si considera un “papabile” ha risposto così: “Spero che sia Giovanni Paolo II a venire a pregare sulla mia tomba”.
Mexico/Norberto Rivera Carrera
Tutta la fede del popolo

Tra i Paesi dell’America Latina il Messico è destinato a giocare un ruolo chiave, non solo perché confina con gli Stati Uniti ma anche per la sua storia. È la nazione che negli ultimi cento anni ha visto nascere il più alto numero di nuovi ordini religiosi, ha avuto centinaia di preti, vescovi e perfino cardinali uccisi in odio alla fede da un potere liberal-massonico che ha perseguitato la Chiesa. Norberto Rivera Carrera, 59 anni, è figlio e custode della grande tradizione cattolica popolare messicana. Laureato in teologia dogmatica a Roma, ordinato prete nel 1966 da Paolo VI, ha insegnato nei seminari e nelle università messicane e nel 1985 è diventato vescovo della piccola diocesi di Tehuacan.
La sua nomina a primate del Messico, nel giugno 1995, ha destato non poco scalpore, perché altri erano i candidati più accreditati. La scelta del Papa si è rivelata felice: l’arcivescovo ha quello che in Messico viene chiamato “el don de gentes”, la capacità di farsi amare dal popolo. A chi lo cerca per telefono può capitare di sentirsi rispondere dalle suore che accudiscono la sua casa: “Richiami fra mezz’ora, perché adesso l’arcivescovo sa giocando a pallone con i preti”. Ha ricevuto la porpora cardinalizia nel febbraio 1998 ed è devotissimo della Vergine di Guadalupe, sotto la cui protezione ha voluto mettere fin dall’inizio il suo episcopato.
Nell’agosto 2000, durante la Giornata mondiale della gioventù, mentre qualche suo collega si lanciava in analisi pastorali e in strategie, il cardinale Rivera Carrera ha detto: “Questi giovani non si lasciano certo ingabbiare nelle nostre strategie né rispondono ad un’azione di propaganda. Sono qui per un incontro. Bisogna lasciar fare allo Spirito Santo. Io credo che spesso noi preti ci facciamo dei problemi credendo di dover dire ai giovani: fate questo, non fate quello. Ma molti di loro non hanno il senso del peccato perché non conoscono Gesù. Non si può proporre a priori una morale o un’etica dicendo: così tu incontri il cristianesimo. In realtà la dinamica è esattamente opposta. Prima la persona incontra il Signore e grazie a quell’incontro inizia un nuovo atteggiamento di fronte alla vita”. Alla domanda se si considera un “papabile”, ha risposto così: “Io Papa? Certo ho più possibilità di mia sorella suora…”.
Honduras/Oscar Rodríguez Maradiaga
Un salesiano contro il liberismo

È il vero outsider uscito dal concistoro dello scorso febbraio. Oscar Rodríguez Maradiaga, 58 anni, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), proviene da un Paese flagellato dalle calamità sociali e naturali ed è diventato in questi anni il negoziatore delle grandi cause latinoamericane a livello internazionale, come ad esempio quella per la riduzione del debito, nella quale si è particolarmente impegnato.
Il curriculum di questo popolarissimo prelato salesiano è impressionante: è stato maestro elementare in Salvador, quindi professore di matematica, fisica e scienze naturali nelle scuole medie, si è laureato in filosofia. Successivamente si è laureato in teologia (1970), in teologia morale (1974), ha ottenuto il diploma in psicologia clinica e psicoterapia a Innsbruck e ha studiato pianoforte al Conservatorio. Parla sei lingue e ha anche il brevetto di volo: pilotare piccoli aerei è rimasta la sua passione. Eletto vescovo ausiliare di Tegucigalpa nel 1978, ad appena 36 anni, è diventato arcivescovo della capitale honduregna nel 1993. È stato segretario e quindi presidente del Celam e negli ultimi anni si è distinto per le vigorose critiche al neoliberismo economico. Nel 1998, pochi giorni dopo che l’uragano Mitch aveva devastato il suo Paese, ha detto: “Abbiamo dovuto pagare una quota di interessi per il debito anche nei giorni della tormenta… Qui si pretende di cavare il sangue da un cadavere”. Pochi giorni dopo la nomina cardinalizia dello scorso febbraio, ha detto: “La nostra gente continua a credere e a lottare soltenuta soltanto dalla fede. Questo è l’apporto più grande dell’America Latina: una vita semplice, povera, di grande fede e la lotta per andare avanti”. La sua provenienza da un Paese piccolo potrebbe rappresentare un grande vantaggio in un futuro conclave. Dei latinoamericani è quello che forse più di altri sarebbe in grado di riscuotere il consenso dei cardinali europei, dai quali è ben conosciuto e stimato.
A chi gli diceva che il suo nome è stato inserito tra quelli dei “papabili” ha risposto così con grande humor: “Grazie mille. Lei è molto gentile”.

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