Politica

E anche domenica Serbo non giocher

La giustizia italiana si fa kafkiana con i più deboli. Il caso Roma

di Barbara Fabiani

Serbo Hrustic, quattordicenne ?deportato? in Bosnia insieme ad altri 55 Rom in marzo, non tornerà. Lo ha deciso il Tribunale di Roma. Eppure
molti erano cittadini italiani e non esiste neppure un decreto d’espulsione

L?armadietto di Serbo è ancora chiuso, la sua maglia ripiegata, le scarpette chiodate riposte nello stipetto. Serbo non tornerà ad allenarsi, Serbo non correrà, palla-al-piede e sguardo in avanti, a cercare la porta o il compagno smarcato sul campetto di Spinaceto. Almeno per ora. Serbo Hrustic, giovane rom ?deportato? in Bosnia nel marzo scorso, dopo un?operazione di polizia a Tor de Cenci (vedi Vita n. 17) assieme ad altri 55 abitanti del locale campo nomadi, non potrà rientrare in Italia. La Polisportiva Mameli, con la quale Serbo disputava il campionato giovanissimi, ha sperato nella prima sezione del Tribunale civile di Roma. Invano: i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso fatto a nome del ragazzo. Senza risposta anche il loro appello al presidente Ciampi: «Illustrissimo presidente», avevano scritto i dirigenti della Mameli, «Serbo era fiero, orgoglioso della maglia sociale che indossava sui campi sportivi di Roma. Era felice, signor Presidente, per il suo naturale inserimento nella comunità sportiva».
Un lavoro sociale mandato in fumo dall?operazione di sgombero fatta con metodi particolarmente aggressivi nel cuore della notte e conclusasi con l?espulsione per direttissima di 56 persone senza permesso di soggiorno individuate dalla Questura. Ma ci fu qualche ?errore? che le associazioni Arci-Lazio e Ics hanno denunciato evitando che gli abusi passassero inosservati.Tra i 20 minorenni nati nel nostro Paese ed espulsi a seguito dei genitori, quattro sono stati separati dalle loro madri e padri regolarizzati in Italia e qui rimasti. Tra i casi spicca quello di Selina, puerpera quindicenne con una neonata di due settimane.Un?espulsione doppiamente fuori legge: perché minorenne allontanata dai genitori e perché mamma di un bambino con meno di sei mesi. Sul destino di questi ragazzi e di altre denunce (questa volta di adulti) che stanno arrivando attraverso il consolato di Sarajevo, il Tribunale si deve ancora pronunciare.
Il magistrato Angela Salvio l?ha già fatto per Serbo dichiarando inammissibile il suo ricorso perché non esiste un decreto di espulsione da impugnare: quella notte, semplicemente, non se ne emisero e quindi non si può impugnare quello che non c?è. Il ragazzo è in Bosnia perché, secondo il rapporto delle forze dell?ordine, ha voluto seguire la nonna, quindi non è stato espulso. Una sentenza apripista? Gli operatori dell?Arci che hanno assistito i Rom in tutte le udienze ammettono di aver temuto questo esito da quando hanno visto che Luigi di Maio in persona, il capo dell?ufficio stranieri della questura, seguiva in aula le udienze su Serbo. Che succederà ora per gli altri casi?
Intanto continua l?inferno dei deportati in Bosnia-Herzegovina. Grazie ad Ics e all?Arci sappiamo che in questo primo mese e mezzo i 30 Rom rifugiatisi a Kladanj hanno speso in viveri tutto il poco denaro che erano riusciti a portare con loro e senza più soldi sono stati cacciati dagli appartamenti che avevano affittato. Sopravvivono solo grazie alla solidarietà della comunità rom locale. Alcuni di loro hanno subito violente aggressioni (uno di loro avrebbe riportato delle fratture) da parte della popolazione locale mentre cercavano di raggiungere la loro città di origine, Valsenica, che dopo gli accordi di Dayton è diventata parte della Repubblica Srpska, e dove le case che avevano lasciato vent?anni fa oggi sono occupate da altri profughi.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.