Famiglia
E alla fine Merko B. è tornato in Albania
L'editoriale di VITA Magazine in anteprima. L'idea che il mondo stia ribollendo di persone che spingono per entrare nel nostro Paese corrisponde davvero alla verità delle cose? In edicola!
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«Ciao amico». Per circa tre anni, ogni mattina, sulla strada che porta in redazione, al semaforo di una grande piazza milanese, l’appuntamento con Merko B. è stato un appuntamento fisso. Un saluto, qualche parola scambiata dal finestrino, in attesa che il verde arrivasse e qualche strombazzata inviperita interrompesse la chiacchierata. Lui era lì a chiedere qualche spicciolo a chi transitava. Era sbarcato dall’Albania, lasciando là moglie e due figli.
La notte si rinchiudeva in un dormitorio ai confini della città. Di giorno era sempre in piedi, che piovesse o che l’asfalto bruciasse di afa.
Tutto per mandare pochi euro a fine mese a casa. Settimana scorsa Merko B. mi ha detto che aveva deciso di tornare. In mano un foglietto con il suo indirizzo e un saluto in ?italiese?, «in bokalupo».
Tornava perché la paura della caccia ai clandestini alla fine gli aveva fiaccato la resistenza. Ma tornava anche per un altro motivo: a casa adesso c’era lavoro per lui. La storia di Merko B., ragazzo dagli occhi color «kafe» come stava scritto sul suo passaporto, è una storia emblematica in tutto il suo dolore ma anche nella sua imprevedibilità.
Aveva attraversato il mare per cercare scampo a una povertà senza soluzioni. Ha trovato, sull’altra costa, un mondo dorato, che gli ha lasciato qualche miserevole briciola caduta dai suoi banchetti. Non ho mai sentito Merko B. recriminare, per quanto ne avesse tante di ragioni con quelle decine di suv che gli passavano a finestrini sprangati ogni giorno davanti al naso. Non ha recriminato neppure leggendo i titoli sulla free press che annunciavano, strillando oltre misura, i provvedimenti messi in pentola dal nuovo governo. Pragmaticamente ha fatto due più due. Ha capito che ormai, per lui, il vero vicolo cieco era l’Italia. E che se qualche pertugio verso il futuro si apriva era proprio nel Paese poverissimo da cui era partito. Il risultato del due più due è stata la decisione di tornare.
Forse una vicenda come questa può aiutare a guardare con intelligenza più concreta alla questione che sta dividendo l’Italia e la stessa maggioranza. Forse l’idea che il mondo stia ribollendo di persone che spingono per entrare nel nostro Paese, non corrisponde pienamente alla verità delle cose. Sappiamo che il governo romeno ha iniziato a incentivare il ritorno degli emigrati dalla Spagna, perché ha grande bisogno di manodopera. È probabile che presto inizi il pressing anche sui romeni emigrati da noi. L’Albania ha un Pil che nel 2007 è cresciuto del 5% e un tasso di disoccupazione sceso al 13% (con un’economia sommersa che pesa per il 50%). Certo, resta il drammatico fronte del Sud del mondo, ma è un fronte che sui flussi migratori ha sempre inciso in piccola percentuale.
Che sia venuto il momento di cambiare approccio a questo fenomeno epocale? Di smettere di drammatizzarne artificiosamente l’impatto? Di iniziare pragmaticamente a fare emergere i tanti, tantissimi che qui da noi di clandestino hanno solo purtroppo la status anagrafico? Di dare piena dignità a chi c’è, senza il solito alibi che tutto il mondo preme alle nostre frontiere? La piccola storia di Merko B. un po’ lo suggerisce.
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