Economia
E adesso serve un outcome fund per remunerare gli impatti sociali
L’ultima emissione di social bond ha raggiunto i 5 miliardi di euro in pochissime ore, segno che i piccoli investitori sono già molto confidenti nell’investimento in titoli a impatto. Nella Pubblica Amministrazione ci sono più "isole felici" di quanto si pensi. Le condizioni di contesto per il salto di qualità del ciclo dell'impatto ci sarebbero tutte, mancano quelle di intenzionalità dei decisori. Dialogo Luigi Corvo, docente di Social Entrepreneurship and Innovation all’Università di Tor Vergata e fondatore di Open Impact
La valutazione d’impatto? Sta iniziando a farsi largo anche nella Pubblica Amministrazione italiana. Per ora, attraverso alcune isole felici. Parola di Luigi Corvo, docente di Social Entrepreneurship and Innovation all’Università di Tor Vergata e fondatore di Open Impact, start-up innovativa gemmata dalle aule dello stesso Ateneo e che ha per mission la creazione di un ecosistema aperto di conoscenze e competenze sull'impatto sociale.
Mission principale di Open Impact è proprio quella di sviluppare capacity building istituzionale sul lato dell’offerta, per rendere i decisori sempre più consapevoli nelle scelte di allocazione delle risorse. Un punto cruciale – in particolar modo oggi – sia per decidere dove impiegare le risorse del Recovery Fund, sia per la programmazione 2021/27 dei prossimi Fondi europei.
«La valutazione d’impatto non va considerata soltanto come uno strumento ed esclusivamente in fase di valutazione ex post, ma come un vero e proprio ciclo, per cambiare le politiche pubbliche e la logica qualitativa della finanza. A livello internazionale di questo si tratta, di un movimento che sta provando a trasformare il sistema socioeconomico», afferma Corvo, che fornisce supporto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il Fondo per l’Innovazione Sociale, lanciato nel 2019 per rafforzare la capacità dei Comuni nella costruzione di politiche di impatto sui territori (sono stati già selezionati i primi 21 Comuni che partiranno con le sperimentazioni).
Open Impact, intanto, sta supportando importanti player istituzionali in un’analisi dell’impatto di alcuni provvedimenti assunti con il Decreto Rilancio, mentre con la Regione Umbria sta lavorando ad una valutazione d’impatto sociale delle misure promosse da un interfondo del valore di 10 milioni di euro, finanziato da FSE e FESR per la rigenerazione dei servizi pubblici locali. «È stata creata una scuola di innovazione sociale, con 230 enti di Terzo Settore coinvolti. La mappatura dell’impatto oggi ci dice esattamente di cosa hanno più bisogno gli ETS: con quelli più pronti possiamo immaginare di andare verso la finanza di impatto, con quelli meno pronti si farà un lavoro di capacity building. In ogni caso i partenariati non saranno più casuali, ma basati su evidenze e progetti».
Accanto alla capacity building istituzionale, però, c’è il lavoro da fare sul fronte della readiness della domanda, pensando innanzitutto al Terzo settore e alle imprese sociali, ma anche alle imprese impact-oriented del mondo for profit, per renderle pronte a sposare il nuovo paradigma. Quanto ai player finanziari, Corvo sottolinea il ruolo cruciale proprio di Cassa Depositi e Prestiti, «da un lato perché è il soggetto che gestisce la maggior parte dei capitali pazienti italiani, dall’altro perché potrebbe essere l’attuatore di un fondo retrostante ai fondi di impatto che si stanno creando e che offrendo gli strumenti di garanzia e solvibilità rappresenterebbe un volano per il social impact investing, come già accaduto nel Regno Unito. L’ultima emissione di social bond ha raggiunto i 5 miliardi di euro in pochissime ore, segno che i piccoli investitori sono già molto confidenti nell’investimento in titoli a impatto. Le condizioni di contesto ci sarebbero tutte, mancano quelle di intenzionalità dei decisori e il coraggio a intraprendere questa strada per davvero, senza relegarla al livello di “nicchia interessante”, ma considerandola come un nuovo modello di ispirazione per le politiche economiche».
Ecco quindi due proposte, che vengono dall’esperienza diretta di Open Impact. La prima è «l’introduzione di un credito di imposta a favore di chi dimostra impatti positivi rispetto alla sostenibilità sociale, ambientale ed economica». Accanto a questo strumento di riduzione dei costi per chi genera e dimostra impatti positivi, servirebbe «uno strumento di aumento dei ricavi, un outcome fund dove confluiscano le risorse europee non impiegate, che vada a remunerare gli impatti sociali positivi. Sarebbe un booster importante per far partire davvero il ciclo dell’impatto».
Photo by Jordan McDonald on Unsplash
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.