Economia
E adesso consentiteci di essere imprese sociali dell’housing
L'intervento del presidente nazionale: «La nostra sfida di oggi è far riconoscere anche alle nostre cooperative la possibilità di essere pienamente riconosciute come “imprese sociali”
È dura la vita, di questi tempi, per i cooperatori dell’abitare; si ha la sensazione di essere dei raccoglitori di cocci o di novelli Don Chisciotte che vogliono fermare l’acqua con le mani. Se nel precedente biennio, infatti, si accertava la profondità della crisi che ha colpito il settore dell’edilizia in generale e di quella residenziale in particolare, oggi si osservano gli effetti del terremoto: aziende fallite, banche (colpevolmente) compromesse e coinvolte in irrazionali progetti di sviluppo, città sfregiate da macerie di nuova costruzione. Oggi solo i più pervicaci stolti possono non aver compreso che è davvero finita un’epoca o, per dirla in maniera dotta, si è conclamata la necessità di mutare alla radice il paradigma di tutti coloro i quali operano sul delicato tessuto urbano, che costituisce quella che chiamiamo “città”. Per le nostre cooperative, formalmente definite “di abitazione” ma divenute per noi “ di abitanti”, l’appello non concede risposte balbettanti: è tempo, finalmente, di tornare ad abbeverarsi alla fonte delle origini del mutualismo.
Ma, dirà qualcuno, quali origini? La risposta è semplice: a quelle che pescano nei due mari in cui da sempre naviga l’arca della cooperazione, ossia quello “cristiano” della Dottrina Sociale della Chiesa e quello “laico” dei principi fondativi del Movimento Cooperativo dettati dai Probi Pionieri di Rochdale. La sintesi è semplice: non esiste cooperativa di abitanti se non ci sono soci che necessitano di un alloggio e se questi soci non partecipano democraticamente alla vita della cooperativa. È necessario, quindi, che le cooperative di abitanti tornino a organizzare il bisogno di casa e di urbanità che si manifesta nei nostri territori.
Il nuovo paradigma chiede però il mutamento di prospettiva e il cambio di passo: bisogna guardare più lontano e più a fondo la questione dell’abitare, indagando non più il solo aspetto correlato alla “dimora”, ma ampliando lo sguardo alla città nella sua complessa articolazione tra spazio privato, spazio pubblico, bisogni emergenti e vitalità urbana; bisogna camminare spediti poiché i mutamenti e le turbolenze socio-economiche procedono a velocità mai viste. Cosa significa ciò, in concreto? Significa convincersi che le cooperative di abitanti 2.0 dovranno affiancare alle loro consolidate competenze di sviluppatori e attuatori di processi di trasformazione urbana, una sempre più densa e altrettanto efficace azione di ri-generazione civile prima e sociale poi. Tale percorso si sostanzia innanzitutto con la presa di coscienza del fatto che la nostra opera e la nostra azione incidono indelebilmente sull’urbanità dei luoghi e, dunque, sulla vita quotidiana delle persone.
Al motto di “piccolo è giusto” allora le cooperative di Federabitazione dovranno tornare (o continuare, se mai hanno smesso di farlo) a occuparsi meno di immobiliare e più di sociale, destinando energie per tessere relazioni tra i soci, costruendo o ri-costruendo parti di città in cui è lo spazio della città – formale e relazionale – a essere il soggetto della nostra azione, e non il singolo alloggio. Certo, tutto ciò è più facile a dirsi che a farsi, ed è più immediato laddove si realizzano case in affitto ma, per chi pensa che si debbano traguardare nuovi orizzonti, la strada è aperta. Per questo motivo l’impegno nella gestione cooperativa di condomini – avviata con alcune recenti esperienze di nostre cooperative (tra tutte basti citare la cooperativa Ssa– Società cooperativa Servizi per l’Abitare del Ccl), in cui prendono piede forme sempre più spinte di “abitare collaborativo” – dovrà essere massimo.
La frontiera di una ri-alfabetizzazione civica del nostro Paese, infatti, passa anche dal superamento della becera logica del solipsismo condominiale verso una modalità di abitare – e quindi, hedeggerianamente – di essere tesa alla cooperazione tra le persone. Da quanto sopra tratteggiato in queste poche righe si comprende quindi la motivazione che ci vede impegnati, insieme a Confcooperative, a riconoscere anche alle nostre cooperative la possibilità di essere pienamente riconosciute come “imprese sociali”, nel dibattito in corso correlato all’approvazione della legge sul “Terzo settore”. Ciò consentirà di orientare le cooperative di abitanti a un operare più solidale, dispiegando – come movimento cooperativo, attraverso una stretta correlazione tra settori proiettati all’innovazione sociale – una capacità progettuale e operativa senza pari; capace di costruire quella città a misura umana necessaria per plasmare una società più giusta e una umanità più viva.
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