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E adesso chi non si organizza è perduto

Di fronte alla rigidità della Commissione europea, i responsabili delle coordinamenti italiani non abbassano la guardia: «Una sfida a rinnovare le nostre strutture»

di Redazione

Business plan, certificazione dei bilanci, definizione di obiettivi, indicatori di successo e possibili colli di bottiglia delle operazioni di sviluppo. Sembra proprio che per accedere alla linea di cofinanziamento B7-6000 le ong dovranno prendere una laurea in economia. Ma quale sono le vere intenzioni di Bruxelles? «Un tentativo, neppure tanto velato, di assimilare le organizzazioni non governative alle imprese», spiega Ennio Miccoli del Coopi. Che sulle nuove Condizioni Generali per ottenere i fondi Ue, in attesa di un?approvazione definitiva da parte della Commissione, ha le idee chiare. «Bruxelles gestisce oggi quasi mille pratiche di cofinanziamento con le ong e, non avendo i mezzi per farlo con efficacia, ha deciso di ridurre il numero delle non profit da sostenere. Ovviamente aumentando il budget dei suoi cofinanziamenti e le garanzie da richiedere ai beneficiari». Una strategia dettata da esigenze vere, che quasi certamente penalizzerà le ong più piccole ma che, per Miccoli, non deve spaventare. «Anzi, usiamo le nuove condizioni dettate dall?Ue come uno stimolo per migliorare. Per essere propositivi e recuperare il terreno perso in decenni di finanziamenti sicuri e garantiti un po? a tutti dal ministero che ci hanno abituati all?assistenzialismo. Da combattere non sono tanto i criteri di qualità imposti da Bruxelles, ma la tendenza di certi funzionari a non riconoscere la peculiarità del nostro intervento». Gli fa eco Sergio Marelli della Focsiv, che per due anni ha seguito personalmente le trattative tra ong europee e Bruxelles: «Considerate le proposte originali della Commissione, abbiamo ottenuto risultati interessanti. Certo rimane l?incoerenza di funzionari che dicono di voler privilegiare la qualità degli interventi ma poi dettano condizioni amministrative su misura per grandi progetti e multinazionali della solidarietà». Suggerimenti per migliorare le cose? «Innanzitutto comprendere che le modifiche alla B7-6000 tendono a eliminare i piccoli progetti più che le piccole ong. E non buttarsi a creare consorzi di organizzazioni non governative solo per accaparrarsi una quota di cofinanziamento: sarebbe una mossa riduttiva e con il fiato corto». Per non perdere gli aiuti di Bruxelles, insomma, bisogna migliorare la programmazione delle ong senza cancellarne natura, identità e scopi originari. «Dopo tutto», spiega Mario Gai del Cocis, «le nuove condizioni generali per accedere al cofinanziamento hanno allargato la cerchia di enti e iniziative elegibili: non più solo singole ong ma network di non profit di diversi Stati Membri, mega progetti di sviluppo ma anche attività su piccola scala che durano al massimo tre anni da finanziare con i block grant». Commissione promossa a pieni voti, dunque? «No», precisa Gai. «Semmai un giudizio positivo con riserve. Bisogna vedere come Bruxelles deciderà di applicare le sue nuove regole: un budget totale di 200 milioni di Euro e la possibilità di stanziarne 10 per una sola ong è una dichiarazione d?intenti preoccupante. Se la Commissione l?applicherà seguendo le sue esigenze amministrative più che i veri bisogni e fini ultimi delle ong, la società civile verrà molto penalizzata». «Per evitarlo», spiega Miccoli, «possiamo comunque iniziare a preparaci: verso il finanziamento di progetti più grossi va anche la riforma della cooperazione italiana. Che, ripeto, per noi ong deve servire da stimolo: spieghiamo a Bruxelles il nostro valore ma facciamo anche un mea culpa. Dobbiamo completare un percorso che molte ong europee hanno concluso da tempo, migliorare la nostra cultura della raccolta fondi e non scandalizzarci se ci si chiede di fare audit o valutazione dei possibili rischi di un progetto. Aumenterà il nostro valore e responsabilità».


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