Formazione

E Abdu scalò il Monte Rosa

La mattina studia, il pomeriggio lavora: così un ragazzo immigrato diventa l'esempio per tutta una città

di Roberto Beccaria

Quando Abdu si sveglia alle sei e mezza ogni mattina ed esce in punta di piedi dalla stanza dove dormono i suoi tre fratellini più piccoli, non può non ricordarsi chi glielo fa fare. E quando esce di casa per andare a prendere l’autobus che lo porta alla sua scuola a Borgomanero, il Monte Rosa è lì, come un gigante buono, a ricordargli le montagne del suo Paese e sembra quasi dirgli: «Abdu, tu lo sai perché lo fai». Dura la vita di Abdu, anche se ha solo 17 anni. È il prezzo da pagare per chi, come lui, non si accontenta di tirare a campare sui banchi di scuola, aspettando il sabato per sfogarsi in discoteca. Ma è un costo che questo ragazzo marocchino vuole pagare fino in fondo. Anzi, un costo che, come dice lui stesso, lo fa addirittura felice.

Sogna un futuro da tornitore
La storia di Abdu è una storia di straordinaria immigrazione, di quelle da libro Cuore, se non fosse vera: studia alla mattina, da tornitore, e lavora al pomeriggio, assemblatore in un’azienda che produce cuscinetti. E lui sa perché lo fa: «Voglio ottenere una qualifica professionale, per potermi migliorare nel lavoro e guadagnare tanti soldi». Ambizioso, come istintivamente sono tutti i giovani. Ma di un’ambizione che non vuole tenere per sé: «Se riesco a portare a casa qualche soldo in più, posso permettere ai miei fratelli di studiare». Tutto qui, ma che coraggio, Abdu. Il suo vero nome, in realtà, è Abderrahmane, che nella sua lingua araba significa “servo di Dio”. E di cognome Elmaski. È venuto in Italia nel 1997, dopo che il papà ha ottenuto il ricongiungimento con la famiglia che da sei anni aveva lasciato a Rabat, in Marocco. Aveva già le idee chiare, Abdu, e si è dato da fare: si è iscritto all’Itis di Fontaneto d’Agogna, in provincia di Novara, per poter imparare un mestiere. Ma non sapeva come sono gli istituti tecnici qui da noi: insegnano qualcosa, ma non certo un lavoro.

La borsa di studio da un milione
Il preside, di quelli che si accorge dei ragazzi che frequentano la sua scuola, l’ha chiamato un giorno e gli ha detto: «Abdu, qui da noi sei sprecato. Ti mando io in un posto dove puoi davvero imparare un lavoro». E così, armato solo di un foglietto, Abderrahmane è andato all’Enaip di Borgomanero, un ente di formazione professionale gestito dalle Acli. Ha incontrato Manuela Gattoni, tutor di alcuni corsi, che se l’è preso a cuore: l’ha inserito in una classe di tornitori e ha capito che era proprio quello che faceva per lui.
Matematica, fisica, elettrotecnica, disegno tecnico, cultura, ma soprattutto officina: ecco quello che cercava Abdu. Ma gli mancava un tassello per realizzare il suo sogno: un lavoro, che gli facesse guadagnare qualche soldo. Ed è arrivato anche quello. Dopo cinque ore di scuola, Abdu riprende il suo autobus e ogni giorno, alle 14, è di nuovo a Fontaneto, ad assemblare cuscinetti. Fino alle 21,30, esattamente per chiudere il suo turno di sette ore e mezza. È questa la giornata di Abdu, che scorre senza tregua, così diversa da quelle vissute dai suoi coetanei. Talmente diversa che è stata notata.
La Banca Popolare di Intra, in occasione del 120° anno dalla sua fondazione, ha chiesto a tutte le scuole superiori di segnalare gli studenti più meritevoli per assegnare loro una borsa di studio di un milione di lire. Soldi che avrebbero fatto comodo alla famiglia di Abdu, soprattutto ai suoi fratellini. E la sua storia non poteva passare inosservata: Abdu è stato premiato. «È un esempio controcorrente», ha commentato Giuseppe Franzosi, presidente dell’Enaip di Borgomanero, «perché contraddice ciò che troppo spesso viene detto dei giovani che vengono sempre descritti come consumatori superficiali, lontani dai valori come l’impegno e il sacrificio». E, invece, Abdu sa che cosa sono: in soli due anni ha imparato a parlare correttamente l’italiano, ha dovuto lasciare la squadra di basket di Fontaneto per dedicarsi anima e corpo allo studio e al lavoro, esce di casa alle sette di mattina per rientrare solo alle dieci di sera… Una storia da libro Cuore, si diceva, se non fosse vera.
«Ormai non ho più tempo per giocare a pallacanestro», si rammarica Abdu. «Ma posso dire di essere ugualmente contento. Sì, felice. Anche se la mia giornata è faticosa. La contentezza non credo sia fare ciò che si vuole, ma fare qualcosa per uno scopo grande». Permettere che i propri fratelli vadano all’Università, per esempio? «Già, proprio così. È esattamente questo il grande desiderio, in particolare di due dei miei tre fratelli». Ormai Abdu ha trovato la sua dimensione. Ma anche l’inserimento, due anni fa, è costato fatica. Innanzitutto la lingua: è stato proprio il basket la chiave di volta per entrare nel mondo dell’italiano.

L’italiano l’ha imparato per gioco
Alcuni amici si sono presi a cuore Abdu e non giocavano solo con le gambe e le braccia, ma anche con la lingua. In campo, di solito, è una cosa che fa arrabbiare molto gli allenatori, ma per Abdu si è chiuso un occhio. E poco gergo, durante le partite e gli allenamenti, ma molto italiano: «Passa la palla, corri a destra, tira a canestro…».
E così, in pochi mesi, Abdu ha imparato la nostra lingua, troppo diversa dalla sua, anche solo nei caratteri e nella scrittura, che per noi è da sinistra a destra. Un muro di gomma, invece, l’Itis. Nelle nostre scuole, troppo spesso i professori e i compagni pensano che tu ce la debba fare da solo. Per fortuna il preside non la pensava così e ha liberato Abdu da quel laccio che alla lunga lo avrebbe soffocato. Da lì all’Enaip: «L’inserimento è stato facile», ricorda Franzosi, «anche grazie alla grande disponibilità e umiltà di Abdu. Da noi ha anche assunto il ruolo di interprete, aiutandoci con altri suoi connazionali che seguivano i nostri corsi». La zona, infatti, è molto popolata da musulmani, di ogni Paese. Tanto che tutti i paesini, che a volte si crede che siano chiusi in loro stessi, si stanno adattando: macellerie musulmane, moschee, datori di lavoro che concedono permessi per le preghiere… Certo, non è tutto merito di Abdu, ma vuol dire che ci sono tanti Abdu da queste parti, che non lasciano spazio a coloro che non vogliono lavorare e non vogliono studiare. Nemmeno se sono italiani. La giornata, ormai, sta finendo. E il Gigante buono è sempre lì, non più rosa, ad accompagnare Abdu verso casa. Domani è una nuova giornata. Ma Abdu lo sa perché lo fa.

Scuole per 80 mila allievi

“Attenti alla persona, aperti al mercato”, è lo slogan dell’Enaip che coniuga le nuove esigenze sociali con la necessità di formazione. Promossa dalle Acli, l’Enaip è stata fondata nel 1951 e si occupa, in Italia e all’estero di qualificazione professionale, offrendo servizi alla persona per valorizzare le risorse umane e garantire l’inserimento sociale delle fasce deboli. Un obiettivo che si muove su vari livelli, con interventi che integrano l’apprendimento di nuove professionalità con il saper diventare parte sociale integrante e propositiva del tessuto sociale in cui si è inseriti. 400 le sedi operative (alcune in Palestina e Brasile), che seguono più di 80 mila allievi per oltre 35 milioni di ore di formazione. A rivolgersi all’azione formativa dell’Enaip sono soprattutto donne e giovani, in possesso di qualsiasi tipo di attestato scolastico. Per il reinserimento professionale e la riqualificazione, particolare attenzione viene dedicata alle fasce deboli, disoccupati o temporaneamente espulsi dal mercato del lavoro. Per ulteriori informazioni: Enaip, via G. Marcora 18/20, 00153 Roma. Tel. 06/58401. Sito Internet: http://www.enaip.it..

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