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Durerà la tregua nel Donbass?
Il russista Eliseo Bertolasi è in Ucraina, nella zona più calda del confine tra le forze di Kiev e i filorussi , a Lugansk. «La vita sembra stia riprendendo ma la situazione rimane drammatica nei villaggi, soprattutto ora in inverno, dove tutto è stato distrutto»
Lugansk, Ucraina – Sono ancora nel Donbass, sono tornato per verificare se regge la tregua annunciata tra le due parti. Il giorno 15 dicembre a Lugansk nel primo pomeriggio, per circa un’ora, ho sentito in lontananza colpi d’artiglieria. Nonostante la gente desideri vivamente la pace, è comunque piuttosto pessimista sul fatto che il conflitto si risolverà a breve termine.
A Lugansk la vita sembra stia riprendendo. La situazione rimane però drammatica nei villaggi, soprattutto ora in inverno, dove tutto è stato distrutto. La gente vive grazie agli aiuti umanitari arrivati da Mosca. Come ben sappiamo Kiev ha ormai sospeso l’erogazione delle pensioni e dei vari servizi sociali. I cosacchi del battaglione umanitario Georgevskii, instancabilmente, recandosi direttamente nei vari centri periferici, nei villaggi organizzano dei punti di distribuzione di alimenti, medicinali, cercano di supportare il più possibile le esigenze della popolazione civile, anziani, bambini…
Si vive una sorta di mobilitazione generale, dove gli individualismi sono stati messi da parte per far emergere la socialità, la cooperazione, la solidarietà.
A Lugansk sono andato a vedere la scuola n° 7. È stata bombardata quest’anno prima dell’inizio delle lezioni. Ci sono state anche delle vittime, sul posto dove sono cadute ci sono sempre dei fiori freschi. Il custode mi porta tra le macerie al suo interno. Mi accompagna fino negli scantinati dove i civili si sono rifugiati durante il bombardamento di Lugansk. Questa scuola esisteva già durante la Seconda Guerra mondiale (qui viene chiamata la Grande Guerra Patriottica). Mi dice, il custode: «la scuola è sopravvissuta all’occupazione nazista ma è stata distrutta dall’attacco dei nuovi nazisti». Sembrano situazioni d’altri tempi.. ma è realtà; una realtà a tre ore d’aereo dalle nostre città.
Ho visitato il villaggio di Novosvetlovka, o, per la precisione ciò che ne rimane. La cittadina, che si trova a una decina di chilometri da Lugansk, nello scorso mese di agosto è stata totalmente distrutta. Tutto è stato bombardato, non solo le abitazioni civili, ma anche tutte le infrastrutture civili e sociali: acquedotto, linee dell’alta tensione, scuola, la casa della cultura, l’ospedale, addirittura la chiesa. I crateri sono dappertutto, come ancora tutt’intorno si vedono le carcasse di numerosi tank e blindati. La città è un cumolo di macerie.
Com’è possibile mettere in atto una distruzione così completa? Novosvetlovka si trova sulla strada che porta verso la Russia, strada che la popolazione di Lugansk ha denominato la “via della vita”, poiché ha rappresentato una delle poche vie di fuga dell’esodo di massa verso la salvezza. Rappresenta inoltre una linea di rifornimenti di aiuti, dalla Russia, indispensabili per la sopravvivenza di Lugansak.
Per tali ragioni nell’agosto di quest’anno Novosvetlovka è stata “liberata” dall’esercito ucraino, “occupata” secondo la versione della popolazione civile. L’obiettivo dell’attacco e del successivo assedio, da parte delle forze di Kiev, durato oltre un mese era interrompere, spaccare la connessione tra Lugansk e il confine russo.
Le persone che incontro, soprattutto anziani che sono rimasti, mi raccontano storie drammatiche che evocano i ricordi dell’occupazione nazista: fucilazioni di miliziani filorussi e di volontari russi, saccheggi, distruzione, violenza… soprattutto da parte dei soldati dei battaglioni punitivi della guardia nazionale ucraina. Non ho difficoltà a credere alle loro parole, basta guardarsi intorno, è impensabile che tale distruzione (oltre alle testimonianze dirette dei civili) sia l’esito di manovre di autodistruzione da parte delle stesse forze locali di difesa della Repubblica Popolare di Lugansk (i cosiddetti “filorussi). È importante sottolineare questo dato.
In Ucraina si continua a parlare di “operazione antiterrorismo” (ATO), per “liberare” dai “terroristi” filo-russi la popolazione locale. Io di terroristi non ne ho mai incontrati, ho visto però tanto terrore negli occhi di chi mi riportava la propria testimonianza. Terrore provocato da coloro che hanno la sfrontatezza di farsi chiamare “liberatori”.
Ho visitato l’ospedale, quel poco che ne è rimasto in piedi: le sue pareti sventrate dalle bombe, i suoi reparti distrutti. Attualmente funziona un piccolo presidio ambulatoriale. Vladimir Nikolaj, un medico dell’ospedale mi viene incontro e mi racconta dell’occupazione con le lacrime agli occhi. Non hanno più nulla, servono non solo medicinali ma apparecchiature diagnostiche… Quelle che c’erano sono state distrutte. Ora, mi racconta, hanno costituito una specie di comunità di lavoro, dove tutti sono insieme a lavorare per la ricostruzione: dai medici, alle infermiere, ai muratori…. Vedo degli operai che stanno tagliando grandi lastre di vetro. Bisogna soprattutto chiudere le finestre, le temperature ormai si sono fatte rigide. Mi dicono che il vetro come molti materiali edilizi sono arrivati con gli aiuti umanitari dalla Russia.
Davanti alla scuola totalmente distrutta, si legge una scritta in russo, probabilmente di sovietica memoria: «i felici anni scolastici», che suona ora come una beffa. Quello Stato, l’Ucraina, che dovrebbe dovuto garantire una felice e proficua istruzione ai suoi scolari, ora, ha deciso di punirli, privandoli non solo della scuola ma semplicemente di una vita dignitosa.
Con le ultime guerre americane si è coniato il termine di “bombe intelligenti”. Per usare una metafora posso dire che le bombe ucraine per diventare altrettanto “intelligenti” stanno mostrando una particolare attrazione verso le scuole.
Tutte le foto sono di Eliseo Bertolasi. In copertina una strada di Novosvetlovka
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