Cultura

Duemila persone al teatro Parenti. Dai, Milano, svegliati

A 10 anni dalla morte dello scrittore, un appuntamento irrituale come era lui. 20 ore consecutive di spettacoli, dibatti e duelli. Un successo oltre le previsioni.

di Ettore Colombo

Accolta da un successo davvero inatteso, in certi momenti travolgente: qual è stato il segreto di un?iniziativa un po? pazza come quella che sabato e domenica è stata dedicata a Giovanni Testori? Vita, il Teatro Franco Parenti, l?associazione che prende il nome dello scrittore, hanno puntato sull?idea di uno spazio aperto, di 20 ore ininterrotte, in cui vedere all?opera giovani attori, ascoltare le grandi star del teatro testoriano, duellare in tavole rotonde sul destino della città, della cultura, del senso civile della vita. Duemila persone sono passate nell?arco delle 20 ore di no stop. Moltissimi giovani, che 10 anni fa, quando lo scrittore moriva, erano magari poco più che bambini. Oggi si sono affacciati, incuriositi da questo strano intellettuale, che le antologie snobbano, ma che sa raccontare, ?dire? la vita, con una verità e una fedeltà irripetibili. Testori vive in una rete sociale che raccoglie cattolici, cani sciolti, gente di sinistra libera da complessi: tutti affamati di una parola che sappia raccontare le grandi domande che la cultura istituzionale ha ingessato e silenziato. Per molti di noi che facciamo Vita, Testori è stato un maestro. Dopo l?evento di Milano abbiamo capito che per tanti è una straordinaria sorpresa. In queste settimane decine di teatri in Italia ospitano sue opere. Anche Vita è un po? come uno di questi teatri. Non sovvenzionati, non rituali, liberi e pervasi da una strabordante passione per la realtà. Per questo per il 2003 abbiamo scelto Testori come nume tutelare del nostro lavoro. E ogni settimana vi proporremo una sua parola. Che Milano è una Milano senza Giovanni Testori? Di certo, è una città dove mancano dei punti di riferimento, come lui, come altri. Non per forza cattolici, non per forza uomini di teatro (e di arte, e di lettere, e di vita), non per forza così vitali, forti, sinceri. Ma maestri sì, quelli mancano eccome, a Milano. Manca, a tutti, Primo Moroni, ad esempio, anche a quelli che contestano Vita, questo giornale che pure, nel suo piccolo, cerca di farla eccome, ?cultura? (del non profit, e non solo) a Milano e altrove. Organizzando, assieme al Franco Parenti di Andrée Ruth Shammah e all?Associazione Giovanni Testori e con quattro lire (forse), un evento di cui hanno parlato per giorni intellettuali e giornali. Un evento che ha fatto saltare i compartimenti stagni, proprio come faceva Testori, che, ricorda la Shammah, “riusciva a far lavorare assieme una ebrea come me e un comunista come Franco Parenti. E lui, cristiano da sempre. Riusciva a contaminarci. La vita e la libertà erano le prime coordinate”. La Milano ?popolare, operaia e democratica? non esiste più e servirebbe un Moroni a farglielo capire, ai giovani arrabbiati dei centri sociali. Ma Moroni è morto. Come è morta Brera, ad esempio, con i suoi artisti matti e geniali, le sue serate a tirar tardi, il suo Bar Giamaica. Come è una pallida ed esangue ripetizione di se stesso il Piccolo, che voleva portare Brecht al popolo delle periferie e si è ridotto a portare se stesso a se stesso, a innalzarsi un monumento, a mummificare anche la cultura, come Testori mai avrebbe voluto. Ecco perché Ornella Vanoni, che pure fa la cantante, che pure è stata tanta parte, e tanta vita, del teatro di Giorgio Strehler, può dire, con coraggio, prima di cantare le canzoni che Testori amava, che al Franco Parenti si sente ?a casa? perché “questo teatro è l?unico luogo di questa città che è anche una casa, il teatro-casa”. Perché a Milano mancano le case. Sono tutti e soltanto tanti falansteri, piccolo o medio borghesi, o tanti palazzi chiusi in se stessi, o tanti salotti dove s?inneggia un giorno ai giudici e il giorno dopo a chi ai giudici fa la guerra, tanti luoghi morti. Tanti ?non luoghi?, direbbe Marc Augé, morti e afflosciati su loro stessi, nemmeno più ?distretti del piacere?, direbbe un altro che di luoghi del piacere se ne intende, il sociologo Aldo Bonomi. Un altro che non piace a certa sinistra, perché gli ribalta i luoghi (comuni). Ecco perché Milano non è più Milano, perché non ha più nessuno che la racconti, perché il Ponte della Ghisolfa non esiste più e Rocco e i suoi fratelli sono cresciuti. Cresciuti male. Però se ci fosse un Testori vivo, anche un Testori minore, saprebbe cosa dire a questi ragazzi che cercano vie e strade che non conoscono o che non riconoscono, saprebbe portarli via da loro stessi e dalle loro tiepide o poco tiepide case, nel cuore della notte, e saprebbe spiegare loro il senso della vita, dell?amore, dell?arte. Ora tocca a Milano, alla città delle istituzioni (democratiche?), della cultura (alta?), della borghesia (illuminata?) rispondere e cercare di illuminare di nuovo la città. No, non con gli aghi, i fili, le luci del Castello, i monumenti elevati al dio denaro e al dio della falsa vanità, ma “con le fiaccole dell?antica speranza”. Chissà se ne sarà capace. Per una volta, ?alla prova?, vorremo vedere lei, la città, e i suoi uomini migliori. Testori Giovanni quello che aveva da dire l?ha detto, gridato, illuminato. L?uomo non c?è più, ma l?autore vive. Vive soprattutto e specialmente in quelli che l?hanno amato, che lo hanno recitato e che lo hanno letto e che continuano ad amarlo, a recitarlo e a leggerlo. Lo faranno anche i tanti giovani che hanno affollato la ?(S)veglia? con una curiosità sorprendente. I tanti amici di Testori hanno provato a darla, davvero, la sveglia. Chissà se saprà continuare e se vorrà continuare a farlo anche la sua Milano?


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