Famiglia
Due neonati affidati agli ospedali. Urge la mobilitazione del Terzo Settore
Paolo Dell’Oca, portavoce di Fondazione Arché, racconta l’esperienza delle comunità di Casa Adriana e Casa Carla di Milano, dove la Fondazione accoglie 13 mamme e 21 bambini. «La nostra esperienza - dice - dimostra quanto ogni intervento di sostegno si fondi principalmente e imprescindibilmente su un atto di ascolto, tanto semplice da immaginare quanto difficile da attuare». Di fronte ad a uno Stato che, osserva l’esperto, «non riesce a impiantare politiche adeguate per la famiglia», serve che le organizzazioni del terzo settore si battano per un welfare che garantisca e riconosca dignità ad ognuno
A pochi giorni dal caso del piccolo Enea, lasciato dopo la nascita alla Culla per la Vita della Clinica Mangiagalli di Milano, oggi un’altra mamma ha affidato al personale dell’ospedale Buzzi di Milano il suo bambino, nato da pochi giorni.
Senza voler entrare nel merito dei vissuti e delle scelte di queste madri e dei loro partner, poiché non ne abbiamo né il diritto, né gli strumenti, segnaliamo che nella città di Milano c’è una rete vasta di associazioni, comunità, consultori pubblici e privati, laici e cattolici a cui le madri in difficoltà potrebbero rivolgersi per chiedere aiuto, nel caso lo desiderassero. Una di queste è Fondazione Arché.
«Fondazione Arché affianca madri e bambini in difficoltà nelle comunità Casa Adriana e Casa Carla di Milano, dove accogliamo 13 mamme e 21 bambini», spiega Paolo Dell’Oca, portavoce di Fondazione. «Sono persone che arrivano in comunità su segnalazione dei servizi sociali del territorio per motivi diversi: dalla violenza di genere alle dipendenze, dalle conseguenze di un viaggio di migrazione a situazioni socioeconomiche disperate». Le équipe educative accompagnano le donne in un percorso di rafforzamento delle proprie competenze genitoriali che dura diversi mesi, lavorando anche sulla graduale autonomia lavorativa e abitativa delle famiglie, anche attraverso corsi formativi e professionalizzanti.
«In Arché le mamme e i bambini possono trovare la serenità, ricominciando a immaginare un futuro di speranza grazie alle educatrici e agli educatori, ma anche a tutti i volontari che donano qualche ora di svago ai piccoli e sollievo alle mamme».
«Nelle collaborazioni attivate con gli ospedali di Roma, Milano e San Benedetto del Tronto -prosegue Dell’Oca- abbiamo sperimentato che spesso la genitorialità viene considerata qualcosa di innato e “naturale”, oppure ricondotta a modelli di comportamenti “giusti o sbagliati”. È indubbio che vi siano modi più o meno adeguati di essere genitori e che esistano degli indicatori di benessere o malessere nelle traiettorie di crescita dei bambini che è necessario identificare precocemente per poter tutelare il sano sviluppo dei piccoli; tuttavia l’esperienza di Arché a contatto e a sostegno della gravidanza e della genitorialità nei primi anni di vita ci ha portato a comprendere profondamente quanto ogni intervento di sostegno si fondi principalmente e imprescindibilmente su un atto di ascolto, tanto semplice da immaginare quanto difficile da attuare».
L'esperienza di Arché ci ha portato a comprendere profondamente quanto ogni intervento di sostegno si fondi principalmente e imprescindibilmente su un atto di ascolto, tanto semplice da immaginare quanto difficile da attuare
Paolo dell’Oca
«Nel nostro lavoro – aggiunge ancora- abbiamo incontrato decine di genitori, madri e padri, tutti diversi eppure tutti simili nel bisogno di essere innanzitutto ascoltati, di poter narrare la propria storia, il proprio vissuto, la propria sofferenza e la propria forza. Prima di consigliare, indirizzare, accompagnare, a volte anche redarguire o criticare, è necessario costruire uno spazio di ascolto e comprensione dell’esperienza dell’altro, ed è poi proprio in questo spazio non giudicante che può crearsi quel senso di fiducia e comunità che permette a volte di costruire dei percorsi insieme ai genitori e di cercare di trovare insieme traiettorie nuove, altre volte di intercettare fragilità che resterebbero altrimenti invisibili. Spesso l’urgenza delle situazioni porta anche noi alla fretta di agire il prima possibile, di trovare le cause di una difficoltà, di cercare rapidamente delle risposte e delle risorse; tuttavia, anche quando ci sembra di non riuscire proprio a trovare soluzioni, o di non aver potuto fare abbastanza, non smettiamo mai di meravigliarci e commuoverci delle parole di un genitore che ci ringrazia semplicemente per averli ascoltati».
Per questo, osserva, «di fronte a genitori che decidono di non riconoscere un neonato dovremmo tutti lasciarci, anzitutto, interpellare dal dolore delle persone che prendono una decisione che forse fatichiamo a comprendere in tutta la sua intensità».
«Verrebbe poi da coinvolgere la politica, il governo della città e della regione, i presidi ospedalieri e i consultori (dove sono?) le cosiddette ‘case di comunità’… Sono numerosi gli interrogativi che si impongono a uno Stato che non riesce a impiantare politiche adeguate per la famiglia, a una città come Milano, troppo costosa non solo per famiglie economicamente vulnerabili e socialmente fragili. Riusciamo ancora in un ospedale azienda a mettere il personale in condizione di ascoltare le fatiche dei neogenitori? Impariamo dalla notizia dei giorni scorsi ed evitiamo di pontificare sulle singole situazioni che non conosciamo, ma rilanciamo, in maniera organica, l’impegno di amministrazione e organizzazioni del terzo settore a batterci per un welfare che garantisca e riconosca dignità ad ognuno, al fine almeno di arrestare se non di colmare le disuguaglianze che segnano sempre più gravemente la convivenza civile e democratica».
In apertura, casa Arché
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