Famiglia

«Due anni dopo manca un’idea»

Parla Giustino Parisse, cronista de "Il Centro" e collaboratore di Vita, che ha perso due figli nel sisma

di Giustino Parisse

A molti sarà capitato di incontrare o vedere un passerotto bagnato, tremante, con lo sguardo smarrito, senza rifugio e senza meta. Eppure sbatte forte le ali, cerca di riprendere il volo, e lo fa fino allo sfinimento per tentare di nuovo di librarsi verso il cielo appena riprende un po’ di forze.

L’Aquila oggi, a due anni dal terremoto del 6 aprile del 2009, è un po’ come quel passerotto. La città storica, le sue frazioni, i paesi del circondario sono tutti da ricostruire, le persone sono smarrite, i giovani guardano al futuro con gli occhi bagnati dalle lacrime del recente passato e confusi nella nebbia di prospettive di cui nessuno conosce i contorni precisi. Nonostante tutto però non ci si arrende, la vitalità la vedi nel traffico sempre più caotico, negli incontri fra proprietari di case da rifare dalle fondamenta che vorrebbero aprire i cantieri il giorno dopo, nella voglia di essere protagonisti del proprio futuro, e persino nei gesti di tanti anziani che hanno ripreso a coltivare l’orto a fianco alle macerie e che tornano bambini nel vedere la piantina di insalata che sboccia alla vita o il fiore che illumina il paesaggio reso buio da quella notte di tragedie. Di fronte al passerotto che sbatte le ali la politica è in ritardo. Presa da interessi e obiettivi di corto respiro guarda alla ricostruzione con la visione piccina del giorno per giorno. Nessuno si chiede se L’Aquila è una città solo da ricostruire o anche da rifondare o almeno da riorganizzare.

In due anni tutto è stato fatto nella più completa anarchia, senza un disegno, una idea proiettata al futuro sulla quale modulare le grandi scelte. L’università continuerà ad avere decine di sedi sparse sul territorio, il Comune ha gli uffici dispersi in una miriade di edifici, i Piani case (gli alloggi costruiti nell’emergenza) sono dormitori senz’anima, con le autorizzazioni provvisorie sono nate 4mila casette di legno alcune delle quali sono delle ville e rappresentano ormai una realtà della quale non si può non tenere conto. L’Aquila non è più una sola città, è mille minicittà che spesso non si parlano fra loro.

Dopo due anni non c’è solo bisogno di soldi per ricostruire gli edifici e i monumenti. C’è bisogno di incentivi economici che garantiscano la ripresa del tessuto produttivo. Bisogna stabilire qual è la vocazione del capoluogo d’Abruzzo: città universitaria, città turistica, città con imprese ad alta tecnologia, città verde, città della cultura. Solo dopo aver individuato la vocazione si possono mettere in atto politiche conseguenti. È questa la sfida che la politica, soprattutto quella locale, deve affrontare da subito. Chi oggi è impegnato sul fronte della ricostruzione deve sapere che la Nuova città non sarà per se stesso ma per le future generazioni. Se si perde adesso la partita sarà una sconfitta che peserà per decenni. Non possiamo permettercelo.

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