Non profit

Dubai, da sogno a incubo

Il crac finanziario dell'emirato mette in crisi i mercati occidentali

di Franco Bomprezzi

Il sogno dello sceicco si sta trasformando in un incubo per i mercati finanziari di mezzo mondo: il crac di Dubai trova ampio spazio sui giornali di oggi, che temono una nuova accelerazione della crisi globale.

Il CORRIERE DELLA SERA dedica alla crisi di Dubai la fotonotizia di prima pagina: “Dubai a rischio crac. Crollano le borse”. «Collassa la holding statale di Dubai: debito da 59 miliardi di dollari, chiede moratoria da 6 mesi. Borse a picco Milano fra le peggiori». Federico Fubini firma l’analisi (“Quel balzo (non riuscito) dal medioevo alla finanza”): «Il ciclone Dubai che si è abbattuto sulle borse segna la fine di un’epoca e la fine della dittatura del petrolio. La bolla immobiliare e i miliardi di dollari bruciati. È il mito di una finanza che dal medioevo vuol compiere un balzo in avanti e non ci riesce. Quando mesi fa Trevor Cooper di Moody’s cercò di parlare al governo di Dubai, non trovò una sola segretaria disposta a riceverlo. C’è da capire. Cooper fa l’analista di una di quelle agenzie che pretendono di giudicare, spesso sbagliando, se un debitore fallirà. Ma l’emirato è una monarchia assoluta. E anche nell’era dei grattacieli di 800 metri e dei fondi sovrani, questo significa esattamente ciò che significava nel medioevo: il sovrano Sheikh Mohammed bin Rashid al-Maktoum è lo Stato e incarna la legge, nessuno può chiedergli quali società e quanti debiti siano suoi, dell’emirato o di qualche altro azionista. Nessuno lo deve sapere». Capitolo borse: «Tokyo ha terminato gli scambi in caduta libera, a -3,22%, trascinata anche dal sostenuto rafforzamento dello yen che in apertura di seduta è sceso sotto quota 85 sul dollaro toccando i minimi dal 1995. L’indice Nikkei è sceso a 9.081,52 punti, 301,72 in meno della chiusura di giovedì. Dopo l’ondata di ribassi provenienti dall’Asia toccava all’Europa. Tutti in calo in apertura i listini del Vecchio Continente: a Parigi l’indice Cac in avvio di seduta segnava -1,79% a 3.614,51 punti mentre a Londra il Ftse segnava -1,74% a 5.103,78 punti. In calo anche Francoforte (-1,6%). Non si discostava dal trend ribassista anche Piazza Affari che all’esordio vede l’Ftse Mib arretrare del 2,33% a 21.433,62 punti, mentre l’All Share perdeva il 2,12% a 21.887,23 punti. Successivamente però le Borse del Vecchio Continente recuperavano terreno anche se si confermavano pesanti le banche e i titoli delle società più esposte verso la città-Stato. Di seguito, ecco gli indici attuali dei titoli guida delle principali Borse europee: Londra -0,47% – Parigi -0,46% – Francoforte -0,56% – Madrid -0,87% – Milano -0,84% – Amsterdam -0,76% – Stoccolma +0,21% – Zurigo -0,60%».

Foto notizia in prima e doppia pagina su LA REPUBBLICA per raccontare il crac degli Emirati. “Dubai rischia la bancarotta Borse europee in picchiata” è il monito di un pezzo che registra la situazione: bruciati 150 miliardi, banche esposte per 40 miliardi di dollari. Un conglomerato finanziario, Dubai World, ha chiesto alle banche una moratoria di 6 mesi perché non riesce più a pagare gli interessi su 59 miliardi di dollari di debiti. La notizia giunta nelle borse mondiali le ha dirottate verso una chiusura pesante e generalizzata (Milano per esempio ha registrato un meno 3,6%). In serata il tentativo di riportare la calma da parte dello sceicco Ahmed bin Saeed al-Maktoum: «la nostra economia è solida e si basa su un decennio di crescita senza precedenti…». In realtà, spiega Sara Bennewitz, Dubai è l’esempio più macroscopico degli effetti di una bolla immobiliare senza freni: progetti edilizi faraonici (per lanciare il turismo, e sopperire alla carenza di petrolio) hanno prodotto un debito pubblico del 110%. la recessione mondiale ha fatto il resto, essendo quei progetti finanziati a debito appunto. Con una certa perfidia LA REPUBBLICA riporta una frase che il ministro Scajola ha pronunciato il 24 novembre 2009 (cioè tre giorni fa): «Dubai ha superato la crisi, crescerà del 5 per cento nel 2010 e ora guarda con simpatia all’Italia e con ammirazione ai nostri prodotti»…Perfidia a parte, ci sono molti investimenti italiani: da Armani (che sta costruendo uno sfarzoso hotel: apertura prevista gennaio 2010) a Impregilo che sta realizzando un impianto di desalinizzazione da 150 milioni di euro. Ettore Livini firma il dossier: “I fondi sovrani spaventano il mondo”. «Il giocattolo si è rotto. La bolla del mattone è scoppiata. I cantieri sono fermi. I prezzi delle case crollati del 50%». E Dubai non ha più soldi per pagare i suoi debiti. A tremare sono in tanti. A cominciare dalle banche (esposte per 80 miliardi di prestiti), dalle aziende che hanno investito. Il pericolo vero è che lo tsunami-Dubai tracimi verso altri paesi del Golfo, facendo scricchiolare le casse di quei fondi sovrani che negli ultimi due anni hanno recitato un ruolo da protagonisti nel salvataggio dell’economia mondiale.

IL GIORNALE rassicura in prima pagina “La bolla di Dubai è un rischio ma non una crisi” perché scrive Cesare Borghi «Dubai fa storia a sé, le altre piazze commerciali orientali  non presentano le medesime caratteristiche di leva finanziaria e di esasperazione dei progetti aperti e quindi  sono da considerarsi solide. Il prezzo del petrolio inoltre è a livelli tali da assicurare in ogni caso un adeguato cuscino alle capitali dell’economia del Golfo, quali che fossero i loro investimenti a Dubai. Qualcuno ci perderà probabilmente anche da noi:  gli abbagli di ricchezza che le bolle finanziarie sembrano promettere attirano  sempre l’ingordigia dello speculatore, in molti sinora ci hanno guadagnato, qualche rovescio ci può stare. La cosa che  va notata è  uno dei primi passi falsi della finanza islamica che si rivelerà portatrice  degli stessi ineliminabili difetti della cara vecchia finanzia del mondo occidentale». IL GIORNALE intervista Luigi Camurati, presidente di Simpedil, il principale produttore di macchine e attrezzature per l’edilizia che conferma che a esser colpita è solo Dubai «la mecca delle aziende, anche per la presenza di una zona franca». Camurati dice che già da un anno gli imprenditori si sono affacciati in altri mercati, ma sempre dei Paesi del Golfo «come il Qatar e l’Arabia saudita, o nel Maghreb. Ovunque ci sia petrolio e quindi soldi da spendere».

“Dubai non è più un sogno. La borsa brucia 160 miliardi“. E’ il titolo ma anche l’amara conclusione dell’analisi del MANIFESTO. «E’ andato in frantumi il sogno di costruire la città dei sogni: le tre isole artificiali a forma di palma. Ed anche il business degli eventi impossibili; qui è stata costruita una pista di neve artificiale in mezzo al deserto». Oltre ai numeri in rosso dei listini delle borse europee di ieri, e oltre all’interpretazione dei fatti, ovvero che l’Emirato paga la presenza di poco petrolio  e soprattutto l’idea di un’economia artificiale costruita sulla diversificazione, il quotidiano comunista riesce persino a fare riferimento al premier: «Il crollo di Dubai World» fa notare il pezzo, «fa tremare i mercati e le banche straniare coinvolte negli affari della holding; e fa crollare il mito legato a questa città, che recentemente è stata indicata dal premier Silvio Berlusconi come sede tranquilla di affari, competenze e rapide decisioni».

Paura sui mercati, secondo il SOLE24ORE che dedica l’apertura di prima al caso Dubai, e rischio di «contagio» per i mercati europei: ecco cosa sta succedendo nel mondo finanziario globale dopo l’annuncio del rischio default per Dubai World. Perché? Semplice: metà del debito complessivo di Dubai (80 miliardi) fa infatti capo a gruppi creditizi europei. «La recessione sgonfia lo bolla che ha permesso l’ascesa dell’emirato senza petrolio», spiega il SOLE all’interno. «Oscurata dai cugini-rivali di Abu-Dhabi», scrive ancora il quotidiano, «che possiede tutte o quasi le riserve petrolifere dei sette sceiccati degli Emirati, Dubai non aveva alternative per sopravvivere: diversificare l’economia». Come? Con una politica di esenzioni fiscali da sogno che ha attirato a Dubai «tutte le più importanti banche e istituzioni finanziarie mondiali» oltre ai media, pubblicità società web ecc. che hanno attirato ovviamente migliaia e migliaia di dipendenti che poi devono abitare in città (di qui lo sviluppo incredibile del mercato immobiliare di lusso) mangiare, vestirsi, divertirsi… E poi il turismo, nonostante il deserto tutt’attorno, e quindi Dubai è diventata più che Las Vegas, con attrazioni di ogni tipo. Insomma un boom, un «meccanismo geniale» che «ha funzionato finché l’economia mondiale marciava a pieno ritmo». Dopo, meno. È impossibile comunque riassumere le quattro pagine fitte che il SOLE dedica al tema, in cui si trova anche una bellissima colonna di FAQ. Si ha comunque l’impressione di essere sulla soglia di un’altra crisi mondiale come quella iniziata tempo fa con i derivati & Co.

Anche il mondo arabo ha la sua Lehman Brothers, nota ITALIA OGGI. E’ il gigante strutturale Dubai world, che mercoledì ha congelato per sei mesi i pagamenti sui debiti. E le conseguenze si sono fatte sentire soprattutto in Europa. Secondo il pezzo “Dubai, rischio default. Borse Ko” pubblicato nella sezione Mercati & Finanza, ieri le piazze Eu hanno perso ben 160 miliardi di euro. Il pezzo è praticamente una lista di segni meno dei listini europei come il Cac di Parigi -3,41%, il Ftse di Londra -3,18%, il Dax di Francoforte -3,25% e il Mib di Milano -3,6%. E’ andata bene alla borsa americana, che era chiusa per il giorno del ringraziamento. Ma oggi, fa notare ITALIA OGGI, è il black friday, il giorno che segna l’inizio della stagione dei saldi natalizi. Però, scrive il quotidiano dei professionisti, «l’andamento dei contratti futures sui maggiori indici americani ha lasciato presagire ad andamenti pesanti nella seduta di oggi che si svolgerà a orario ridotto per il black friday». Proprio un venerdì nero per le borse americane. Ringraziando gli emirati, ci sarà poco da spendere per lo shopping pre natalizio. Ma se il crack di Dubai World ha rotto i pilastri dei miraggi dei mercati finanziari degli emirati, le donne arabe invece stanno costruendo le fondamenta dell’economia reale e della stabilità dei paesi del Golfo. Secondo il pezzo “Le donne spingono i paesi del Golfo”,  mentre gli uomini investono nella carta dei titoli azionari e dei fondi sovrani, le donne investono nella carta delle pagine dei libri e in corsi universitari. Le donne, infatti, rappresentano il 70% degli iscritti nelle università a Doha, il 76 % in Qatar, il 65% negli Emirati Arabi, il 70% in Bahrein. «Una generazione di studentesse in rosa» si legge nell’articolo «che si appresta a emanciparsi e a costruire un futuro diverso, svincolato dei vincoli familiari, religiosi e dalla tradizione». Anche se le donne arabe non vantano ancora una forte rappresentanza politica ed economica, «sono partite» si legge nel pezzo «alla conquista dei diplomi di laurea, incoraggiate dalla tendenza che favorisce l’educazione e del mercato del lavoro». Ed hanno anche delle grosse ambizioni. Tre le donne citate nell’articolo, Nada Mourtada, docente di relazioni internazionali e diritto pubblico, è quella che ha le idee e le aspirazioni più chiare:«Vogliamo diventare il centro innovativo di produzione di idee e di formazione concettuale nel Medio Oriente».

AVVENIRE mette la notizia solo a pagina 26, sotto il titolo “Trema Dubai, borse nel panico”. Il sogno arabo è finito, Dubai non può nemmeno sperare negli aiuti pubblici perché i 59 miliardi di debito di Dubai World valgono il 70% dell’intero debito pubblico degli Emirati.

Ai nuovi spettri di crisi finanziaria LA STAMPA dedica un titolo in prima “Borse a picco per la paura del crac Dubai”, con un commento di Franco Bruni “Se nascono nuove bolle”: «Le difficoltà finanziarie di Dubai rischiano di configurare un caso di grave insolvenza. Le ripercussioni internazionali possono mettere a tacere le fragili prospettive di ripresa sulle quali si esercita da qualche tempo l’ottimismo di non pochi operatori e politici. Oltre all’impatto diretto sulle banche creditrici, molte delle quali europee, il pericolo può diramarsi al sistema finanziario globale e a settori più o meno direttamente collegati all’economia degli emirati e al mondo immobiliare. Le Borse e i premi di assicurazione sui titoli di debito, compresi quelli «sovrani», cioè garantiti dai governi, hanno subito registrato la gravità del problema. (…) Lo scenario diventa più buio se il fatto di Dubai viene interpretato come un sintomo del permanere di squilibri e distorsioni nei mercati monetari e finanziari del mondo le cui malattie, emerse con la crisi cominciata nel 2007, sono ancor lungi dalla guarigione. Purtroppo viene in mente che, per molti mesi, anche le gravi disavventure del mercato dei prestiti sub-prime americani sono state considerate un «caso particolare. (…) E’ occorso molto tempo per capire che si trattava invece del sintomo di un vastissimo malessere radicato nell’eccesso di indebitamento dei più svariati tipi di operatori economici privati e pubblici, collocati un po’ dovunque nel mondo. (…) Anche Dubai rischia di rendere più evidente quello che prima dicevamo in pochi ma negli ultimi tempi vanno dicendo in molti: che la crisi finanziaria iniziata nel 2007 è stata curata male e lentamente. Si è fatto troppo conto sulle iniezioni di liquidità e sui tassi di interesse superbassi. Gli intermediari e i mercati finanziari ne hanno approfittato per tornare a cercar rischi speculativi alimentati con fondi a basso costo. (…) Bisognerebbe sperare che il guaio di Dubai rinfocoli la consapevolezza dell’urgenza di riforme, di nuove regole, di vertici internazionali più concreti nelle loro deliberazioni, di politiche economiche meno legate all’effimero miglioramento degli indici congiunturali».

E inoltre sui giornali di oggi:

PILLOLA RU486
AVVENIRE – Apertura di AVVENIRE sulla pillola abortiva, “Ru486, punto e a capo”. Lo schema di conclusioni dell’indagine parlamentare scritto da Tomassini è stato approvato ieri dalla Commissione Sanità del Senato con 14 voti a favore (Pdl e Lega) e 8 contro (Pd). La Commissione sospende il via libera dell’Aifa e chiede il parere del Governo sulla compatibilità tra Ru486 e legge 194. Francesco Ognibene firma un editoriale in prima pagina, “Il cinismo di chi non vuol capire”. «Finalmente» il Parlamento ha reagito per fermare «la cieca macchina di timbri apposti da organismi tecnici», scrive Ognibene. «Perché la Ru486 non è l’aborto dolce e meno invasivo che vagheggia chi vorrebbe sbancare ogni forma di tutela della vita in nome di una libertà liquida» bensì «la clandestinità riabilitata». La Roccella si appella all’audizione del direttore dell’ufficio legale dell’Emea, che «ha chiarito che l’Aifa avrebbe dovuto prima chiedere il parere al governo sulla compatibilità tra pillola e legge 194» e chiarisce che il parere del ministero garantirà che «in Italia la pillola abortiva potrà essere impiegata solo a condizione che la donna stia in ospedale per tutta la procedura». I commenti nelle sono di Raffaele Calabrò (Pdl), che parla di «occasione per approfondire i problemi che la pillola comporta» e Dorina Bianchi (Pd, ex correlatrice dell’indagine, poi dimessasi) dice che la l’uso della Ru486 «va limitato ai soli casi in cui vi siano forti controindicazioni fisiche alla via chirurgica».

CORRIERE DELLA SERA – “Stop del Senato: slitta l’arrivo della pillola abortiva”: «Sulla vendita della RU486 il Senato frena, ritardando di fatto l’immissione sul mercato della pillola abortiva autorizzata dall’Aifa. La Commissione Sanità di Palazzo Madama ha infatti approvato a maggioranza con il voto favorevole di Pdl e Lega e quello contrario del Pd, il documento finale dell’indagine conoscitiva sulla Ru486, nel quale si chiede di fermare la procedura di immissione in commercio del farmaco in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge 194 e la pillola abortiva». Il governo promette un parere molto rapido in 24 ore: «Sull’immissione in commercio della Ru486 «la procedura corretta è evidente» chiarisce poi Maurizio Sacconi. L’iter «richiede preventivamente il parere del governo – spiega il ministro del Welfare – e dopo una nuova delibera dell’Aifa. La vecchia delibera è nulla perché serve il parere del governo». Il parere richiesto dalla Commissione Sanità al governo potrebbe essere espresso «anche nel giro di 24 ore». ha spiegato il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella». Dura l’opposizione: «La decisione della Commissione ha già scatenato però le polemiche dell’opposizione. Il Pd, con Barbara Pollastrini, parla di «scandalosa perdita di tempo». Quelle della maggioranza e del governo «ancora una volta sono chiacchiere, ci dicano una volta per tutte cosa vogliono fare» è il commento a caldo del capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro.

LA REPUBBLICA – Stop alla vendita, deve decidere il governo. La Commissione Sanità del Senato rinvia la questione al ministero della Salute e quindi a Sacconi che ribadisce: «il punto dirimente è quello relativo al ricovero ospedaliero durante la procedura farmacologica, poi ci vorrà una nuova delibera dell’Aifa, è chiaro che vigileremo sugli effetti della terapia abortiva». Critiche dalla opposizione ma anche dalla maggioranza. Cicchitto non condivide la decisione della Commissione. Come Margherita Boniver. Della Vedova parla di scelta insensata. Nell’approfondimento, il caso dell’ospedale di Pontedera dove la pillola è usata dal 2005 e dove vanno molte donne anche da altre regioni.

IL GIORNALE – Ieri il Senato ha bloccato la commercializzazione in Italia della pillola così gli ospedali dovranno continuare ad acquistarla dall’estero attraverso le farmacie interne. Ora la decisione passa la Governo. Il sottosegretario Eugenia Roccella, ribadendo che il Senato non ha fatto nessun blocco forzoso, vuole parlare di doveroso parere tecnico  perché «vanno chiariti  la compatibilità con la legge 194 sull’interruzione  volontaria di gravidanza e la garanzia delle condizioni di sicurezza. Il Governo farà chiarezza per evitare dubbi interpretativi». Questa chiarezza per IL GIORNALE  potrebbe arrivare entro 24 ore. Nel pezzo di Cusmai registrate anche le dichiarazioni dell’opposizione che «parla di scelta che danneggia le donne».

BENI CONFISCATI
AVVENIRE – Il Cnel ha dichiarato all’unanimità che la vendita dei beni confiscati alla mafia è «decisamente da evitarsi». Quaranta magistrati su 70 che si occupano di misure di prevenzione hanno appena sottoscritto l’appello di Libera.

PEDOFILIA
LA STAMPA – “ll governo irlandese: ‘La Chiesa cattolica ha coperto i pedofili’ ”. «Un prete ha ammesso di aver abusato di oltre 100 bambini, un altro di aver violentato “un bambino ogni due settimane” nel corso di 25 anni di sacerdozio, un parroco denunciato per un caso ha confessato di averne compiuti altri sei. La Chiesa cattolica ha coperto per decenni centinaia di abusi pedofili e crudeltà compiuti da sacerdoti a Dublino. Violenze e stupri anche nelle scuole e nelle istituzioni per ragazzi “difficili” gestiti da ordini religiosi. “Quattro arcivescovi ossessionati dalla segretezza hanno protetto i responsabili e la loro reputazione ad ogni costo, mentre le autorità civili si voltavano dall’altra parte e concedevano l’immunità alla Chiesa” denuncia il rapporto della Commissione presentato dal ministro della Giustizia Dermot Ahern. “I colpevoli di questi orribili crimini verranno perseguiti”, ha promesso il ministro, per il quale le vittime di queste violenze “oggi possono dire, avevamo ragione, e siamo stati finalmente creduti”. (…) Chiamati in causa sono gli arcivescovi McQuaid, Ryan, McNamara e il cardinale Connell che spinse per processi segreti secondo la legge canonica, conclusi con due preti spretati. Pur essendo al corrente delle denunce, non segnalarono i preti colpevoli alle autorità giudiziarie. I sacerdoti pedofili venivano al massimo trasferiti in altre parrocchie: lì in molti casi, trovavano addirittura nuove “prede”».

ULTRAS
AVVENIRE – 447 gruppi censiti dalla Polizia, 53mila sostenitori: è il mondo degli ultrà del calcio. In almeno 10mila, di tutte le frange unite, sono scesi in piazza, lo scorso 14 novembre, per protestare contro la “tessera del tifoso” che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo 1 gennaio, un badge per seguire la propria squadra in trasferta che viene criticata come «schedatura» e «misura da Stato poliziotto». Piace solo, o quasi, ai tifosi dell’Inter che hanno fatto una sperimentazione facoltativa e hanno raccolto 20mila adesioni.

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