Welfare

Droghe, la delega a Dadone non sia solo uno spot

L’auspicio è che la ministra sappia cogliere nella sua azione di governo il valore del significativo patrimonio delle nostre comunità e dei centri terapeutici, che al di là degli svariati approcci e metodologie di cura rappresentano un plusvalore da adeguatamente valutare nell’ottica del disegno di prospettive di miglioramento nell’azione di contrasto e cura dalle dipendenze

di Angelo Palmieri

La delega alle politiche antidroga assegnata ad un ministro della Repubblica, dopo lunghi anni di vuoto, è una notizia da gran tempo attesa. Non ci nascondiamo che bisognerà di certo attendere non poco per verificare l’impatto che potrà generare in termini di progressi nelle politiche sulla prevenzione e cura delle diverse forme di dipendenza, il nostro sistema è purtroppo fermo agli anni Novanta, nel mentre sono cambiate sostanze e contesti di riferimento.

Siamo a dover contrastare da un lato un mercato danaroso per le mafie e dall’altro una continua ascesa per consumo, con nuove sostanze psicoattive, per la maggior parte di origine sintetica, di contro ad un numero esorbitante di decessi riconducibili all’abuso, poco meno di quattrocento come si evince dai dati della Relazione 2020 della Direzione Generale Antidroga.

Il quadro generale, peraltro già ampiamente denunciato durante il periodo del primo lockdown, dalle diverse comunità terapeutiche e dai servizi pubblici del territorio, desta sconcerto e grande preoccupazione. Nondimeno inquieta l’approccio sempre più precoce di giovani vite nel consumo sia di marijuana (il 6,3% del totale) che di droghe sintetiche (il 3,89%), così come si registra, in particolare tra i giovanissimi, un aumento degli episodi di “binge drinking” (anche un consumo di 5 o più drink in breve tempo! persino nell’arco di 15 minuti).

Dunque necessita in termini di cogente sussidiarietà tra concorso pubblico e rete degli attori del privato sociale (comunità terapeutiche) adoperarsi per definire chiare e solide strategie, nel tentativo di contenere un fenomeno irrefrenabile. Si è fortemente a sperare che la delega sulle dipendenze possa costituire finalmente la possibilità di fissare, sotto l’egida di una chiara regia politica, un piano degno di un Paese che abbia realmente a cuore il bene di intere generazioni, non già a colpi di fatui spot propagandistici.

Le premesse non sembrano decisamente buone. Ad un approccio auspicabile poggiante su una visione da “larghe intese” fa contrasto uno sterile dibattito, l’ennesimo, tutto polarizzato sulla atavica contrapposizione ideologica tra proibizionisti e antiproibizionisti che irretisce ogni azione propulsiva, volta ad affrontare con determinazione la questione della prevenzione delle fasce più vulnerabili (specie in questo periodo!) e del sistema dei servizi pubblici per le dipendenze ancorché tarati su logiche e prassi di lavoro in distonia con un target giovane e sempre più appartenente alla fascia scolastica: di certo non è una pura coincidenza che la delega sia stata attribuita alla ministra delle politiche giovanili.

Un sonno della ragione della politica, una visione miope che rischia di allargare le maglie del disagio sanitario e sociale con inevitabili conseguenze sulla tenuta delle nostre comunità, soprattutto dei nostri adolescenti, destinati a diventare “vittime sacrificali” a causa del disastro socioeconomico derivante dalla pandemia.

Una sana azione politica deve necessariamente indirizzarsi verso un sano pragmatismo e una chiara impronta etica, atti a rilanciare tutte quelle questioni ancora irrisolte a cominciare dalla revisione della normativa sulle droghe, ferma alla legge 309 del 1990, e porre al centro della discussione tra operatori alcuni principi inderogabili quali la centralità della persona in un processo di presa in carico globale, l’integrazione dei servizi, la libera scelta, la garanzia delle risorse da destinare alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione.

Sul sistema di cura si renderà indispensabile un coordinamento organizzativo tra i Serd e i servizi psichiatrici in virtù di una comprovata correlazione tra dipendenze e sindromi unitamente alla necessità di differenziare e integrare i percorsi terapeutici rispetto alla popolazione adulta. Così come non potrà essere presa sotto gamba la disomogeneità territoriale tra le regioni, con le evidenti carenze strutturali in termini di offerta sia pubblica che privata.

L’auspicio è che la ministra sappia cogliere nella sua azione di governo il valore del significativo patrimonio delle nostre comunità e dei centri terapeutici, che al di là degli svariati approcci e metodologie di cura rappresentano un plusvalore da adeguatamente valutare nell’ottica del disegno di prospettive di miglioramento nell’azione di contrasto e cura dalle dipendenze.

Siamo chiamati a sperare, rigettando ogni sorta di clima avvelenato e con l’auspicio che rappresenti un primo passo verso una rinnovata attenzione ad un mondo da troppo tempo abbandonato a sé stesso. Siamo chiamati a decisioni salde che diano certezze di percorsi alle famiglie che affrontano la grande sofferenza e il disagio causato dal protrarsi di un vuoto educativo, sociale e politico. Stanchi di attese vane e non possiamo continuare a perder tempo, avvertiamo l’urgenza di rispondere in modo efficace ai reali problemi della prevenzione, della cura e del reinserimento sociale e lavorativo.


*sociologo

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