Famiglia

Droga una legge su misura

I grandi andranno avanti mentre le piccole comunità saranno costrette a chiudere i battenti?

di Redazione

Dietro la riforma del testo unico sulle droghe proposta da Fini, si nasconde una vera rivoluzione, con ripercussioni rilevanti anche per gli operatori del settore: qualcuno ci guadagnerà, altri ci perderanno. Punibilità del semplice possesso della sostanza stupefacente e fine della distinzione fra droghe leggere e pesanti, alternativa fra carcere e comunità di recupero, facoltà per gli enti privati di certificare lo stato di tossicodipendenza e accessibilità ai fondi pubblici: la vera partita nella società civile e in Parlamento si giocherà su questi campi. Analizziamoli uno per uno. Drogarsi è reato Malgrado la protesta di alcuni operatori fra cui don Antonio Mazzi, fondatore della Comunità Exodus, il quale si augura “la chiusura delle vecchie diatribe per puntare sulla prevenzione e abbandonare il ricorso forzato alla galera o alla comunità”, la proposta Fini va nella direzione opposta e punisce il semplice possesso, eliminando la distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti. Al di sotto di determinati quantitativi di pericolosità (50 mg di principio attivo per Lsd e derivati, 200 per eroina, 250 per cannabis e derivati, 300 per ecstasy e pasticche, 500 per cocaina) si applicano sanzioni amministrative: sospensione della patente di guida, della licenza del porto d?armi, del passaporto o del permesso di soggiorno. Al di sopra di queste soglie entrano in causa le sanzioni penali (dai 6 ai 20 anni di reclusione). “Nessuno dice che la droga è bella”, interviene don Egidio Smacchia, presidente della Fict – Federazione italiana comunità terapeutiche, “ma in queste tabelle manca completamente la centralità della persona. Purtroppo si torna a parlare solo di milligrammi e di sostanze. A noi invece piacerebbe continuare ad essere degli educatori”. Ancora più duro don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e presidente di Comunità nuova: “Con la repressione non si va da nessuna parte, così semplicemente ci allontaniamo dai ragazzi. Anzi, dicendo loro che tutte le droghe sono uguali, perdiamo credibilità”. Diametralmente opposta la reazione della comunità di San Patrignano e della comunità Incontro di don Gelmini, da sempre favorevoli alla tolleranza zero nei confronti di tutti i tipi di droghe. Dal carcere alla comunità Il testo presentato da Fini prevede la possibilità di evitare la pena detentiva tramite l?adesione a un programma di recupero da svolgersi in strutture private o pubbliche registrate in un apposito albo. Secondo i detrattori, questa norma renderebbe di fatto ingestibile il lavoro, in particolare delle comunità meno piccole. Lucio Babolin, presidente del Cnca – Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza spiega il perché: “In questo modo molti detenuti chiederanno di entrare in comunità, non per uscire dalla tossicodipendenza, ma per abbandonare la cella. Il nostro approccio però richiede il consenso pieno di chi aderisce a un percorso di recupero. Dovremo fare i secondini, altro che educatori!”. Un mutamento di filosofia cui non corrisponde un innalzamento delle rette da parte del ministero della Giustizia: 26 euro al giorno per la presa in carico di un detenuto. Una quota così bassa da rendere praticamente impossibile, per le piccole comunità, l?attivazione di progetti con il carcere. Certificazioni Allo stato delle cose, la certificazione dello stato di dipendenza spetta ai Sert pubblici, mentre la diagnosi è libera. Se il Parlamento approverà la proposta Fini questa facoltà sarà concessa anche ai privati. Anche a chi, come nel caso di San Patrignano, ha sempre rifiutato l?accreditamento e di conseguenza la riscossione delle rette regionali per la presa in carico del tossicodipendente. In base all?art. 116 della proposta, l?iscrizione all?albo (tenuto dalle Regioni) sarà subordinata alla presenza di requisiti minimi, in particolare della disponibilità di locali e attrezzature adeguate e di un?équipe socio-sanitaria (medico esperto di tossicodipendenze, psichiatra o psicologo, infermiere professionale, oltre a un numero adeguato di educatori) con comprovata esperienza nel settore. Non sono molte però le strutture in grado di poter sfruttare il nuovo sistema del ?fai da te?. Difficilmente potranno, usufruirne, per esempio, “le piccole strutture radicate nel territorio che in questi anni”, come ricorda Babolin, “si sono affidate per le diagnosi e le certificazioni ai laboratori pubblici”. Diverso il caso di realtà molto più grandi e più strutturate che potranno certificare lo stato di dipendenza in totale autonomia, senza più passare dai Sert, per poi magari chiedere il rimborso allo Stato. Finanziamenti Questione spinosissima quella dei finanziamenti alle strutture di recupero. Maurizio Mirandola è al timone di una piccola comunità lombarda, il Centro mantovano di solidarietà Arca. “Nella nostra regione negli ultimi tre anni hanno chiuso un terzo delle 150 strutture accreditate. Un trend confermato anche nel resto del Paese”. Il motivo? “I rimborsi delle rette, che variano da regione a regione (in Lazio, per esempio, valgono 32 euro al giorno, in Lombardia 44) ci arrivano con ritardo di anni”. La proposta Fini, per adesso, sembra non accorgersi del problema e si limita a trasferire competenze e risorse in materia dal ministero del Welfare al nascente Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, da istituirsi presso la presidenza del Consiglio. Don Smacchia parla di “una legge priva di copertura finanziaria”, e quindi metterebbe a rischio gran parte delle circa 500 comunità di recupero presenti sul territorio nazionale.


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