Mondo

Droga e alcol. I giovani sono ancora al tappeto

Intervista al presidente del Csv, Gianvito Pappalepore

di Lorenzo Alvaro

Alle 3.32 del 6 aprile 2009 L’Aquila fu investita da una scossa sismica di magnitudo 5,9 della scala Richter. In un istante venne spazzato via, oltre agli edifici, anche il tessuto sociale dell’intera città. Sradicazione, solitudine, abbandono i punti di partenza della ricostruzione.  Oggi, tre anni dopo, la mente torna a quel momento e tutti si chiedono a che punto siano i lavori. Prova a rispondere Gianvito Pappalepore, aquilano e presidente del Centro di Servizi per il Volontariato di L’Aquila
 
Che aria si respira a L’Aquila tre anni dopo il sisma?
Dipende tutto dalle condizioni delle singole persone. In generale molto pesante. Un minimo di respiro c’è stato dall’incontro con il Ministro per la Coesione Sociale, Fabrizio Barca, che è venuto a commentare la ricerca dell’Ocse. È venuto per capire i problemi. Non nascondo che un operazione di ascolto a tre anni dal sisma lascia perplessi. Quanto meno però è sembrato credibile. Ci ha dato un po’ di speranza.
 
Quel è lo stato dei lavori della ricostruzione?

Per quello che riguarda gli edifici classificati E (inagibili ndr) al di fuori dei centri storici, che sono circa 17mila, le cose si stanno muovendo, anche se con lentezza. Per il resto è tutto esattamente come era. Immobilismo sui tutti i 140 comuni del cratere sempre dovuti alla burocrazia. Manca totalmente il cosiddetto “Piano di recupero”, che esiste ma non è mai stato approvato dal Commissario straordinario Chiodi.  
 
La vera emergenza, si è detto più volte, era il lavoro. Oggi qual è la situazione?
Drammatica perché non c’è pianificazione né idee. È tutto fermo e non esistono politiche e programmazioni di sviluppo. Era stata promessa la zona franca che però l’Europa non ha riconosciuto. Quindi la disoccupazione è alta, i cantieri si aprono a singhiozzo. Per lavorare, chi può se ne va.
 
A breve ci saranno le elezioni comunali, cosa si aspetta il territorio?
In questo Paese si vota una volta l’anno. È un continuo andare alle urne. Non cambia mai nulla. Speravamo in una svolta, noi del Csv, in un candidato sindaco giovane che sposasse la causa della ricostruzione. Invece c’è stata grande frammentazione, soprattutto nel centro sinistra, e così è emersa con forza la figura del sindaco uscente Massimo Cialente. Si è persa un’occasione di rinnovamento.
 
È rientrato l’allarme giovani su droga e alcoolismo?

Affatto. Non sono stati messi in piedi processi di aiuto. Noi che lavoriamo nel sociale siamo amareggiati. Tutti i soldi stanziati per la ricostruzione sociale non sono mai stati erogati. Gli unici che sono effettivamente stati utilizzati sul territorio sono quelli che arrivano da dentro il non profit, dalle associazioni e dalle fondazioni bancarie. Di questo passo si prospetta un disastro perché sul territorio ci siamo solo noi. Se le istituzioni non ci seguono il nostro intervento rimane un tampone e verrà vanificato.  
 
Il centro commerciale L’Aquilone rimane il vero centro della vita sociale?

No, è molto frequentato dai minori sprovvisti di patente. Ci arrivano coi mezzi e lì rimangono. Si è creato invece un nuovo fenomeno: il popolamento notturno del centro. Migliaia di giovani nel week end si riversano nelle strade deserte di L’Aquila dove hanno riaperto dei piccoli locali nei palazzi diroccati. Non si sa se legali o meno. È come una discoteca dentro Pompei, scioccante.
 
Quali le difficoltà maggiori?
Che oggi la città è estesa per 30 chilometri, divisa tra est e ovest, con uffici e servizi dislocati ovunque. Una famiglia passa la maggior parte del proprio tempo in macchina. Non ci sono posti di aggregazioni né chiese. Inffatti l’uso di psicofarmaci è aumentato di tre volte. La solitudine e lo sradicamento ci stanno uccidendo. Vivere così è pesante.
 
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