Non profit

drink a gradazione zero, il boom dei bar bianchi

Sorprendente crescita dei locali che non servono alcolici

di Antonio Sgobba

Ci vuole coraggio per aprire un bar analcolico nella terra del prosecco. Eppure a Treviso può capitare che al posto del vino bianco ti servano il “rucolino”. Cocktail sperimentale a zero gradi, ovviamente a base vegetale. Si può bere al bar Indimenticabile, nel cuore del centro storico della capitale della Marca. È uno dei cosiddetti “bar bianchi”. Locali che non servono alcolici. E non è un caso isolato, in Italia esperienze del genere sono in rapida crescita.
Il gestore dell’Indimenticabile è Fabio D’Aguanno, 42 anni. Gestiva da cinque anni un locale alcol free, il Kiribiri. Ma ora non gli basta più. «Abbiamo deciso di ingrandirci e di spostarci in centro, anche per rianimarlo, visto che negli ultimi tempi si stava svuotando», racconta. Così si è spostato in uno storico stabile del Cinquecento, sistemando lì le due salette per 25 posti a sedere. Le ricette per i drink a base di rucola o cetriolo le ha prese dal pluristellato chef Heinz Beck. Nessuno che rimpianga lo spritz? «Abbiamo un’offerta molto ricca, puntiamo sulla qualità dei prodotti. Tutti biologici. Poi qui non si viene solo per bere, abbiamo una biblioteca di cinquemila libri e spazi per gli incontri. È un’evoluzione della bottega del caffè goldoniana».
Ma la capitale “alcol free” è Reggio Emilia, che conta ben due locali “bianchi”. Entrambi nati su iniziative del Comune, per risollevare zone difficili. Come quello nei dintorni della stazione. Si chiama Cafè Reggio ed è un bar di quartiere partito sei mesi fa. È gestito dalla cooperativa Koinè, che si occupa anche dell’Insolito bar, punto d’incontro del centro culturale La Gabella: «Puntiamo su pasti veloci per gli studenti a prezzi bassi». Così, se non c’è la birra, non ci fai nemmeno caso.
Come nella vicina Modena dove all’interno del Parco XXII aprile si può trovare il chiosco del Bar Arcobaleno. Ci lavorano i volontari del Ceis. La clientela va dai 15 agli 80 anni. «Ma è apprezzato soprattutto dalle famiglie», dicono i gestori.
Nasce dal volontariato anche il Barycentro, a Trento. All’inizio facevano i caffè solo per il centro sociale Il Delfino, specializzato nel recupero del disagio psichico. Dal 2005 è aperto a tutti. Si può mangiare un’insalata o le melanzane alla parmigiana, sfogliare ed acquistare dei libri, navigare in internet, incontrare persone, fare piccole riunioni. «L’apertura al pubblico ha rivoluzionato la nostra identità», dice Massimo Milenaccio, 41 anni. Tutti contenti? «Ogni tanto qualcuno chiede un caffè corretto, dobbiamo spiegargli tutto da capo, ma alla fine si ferma da noi».

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