Formazione

Dramma e speranza in uno scatto

Parla Angel López Soto, l’occhio dei tibetani in esilio

di Carlotta Jesi

Tre ragazzi al termine dell?infernale fuga dal Paese occupato. Un?infermiera che li assiste. Un grande fotografo racconta l?immagine più emblematica

Speranza. Samten ha pagato la sua fuga dal Tibet occupato dai cinesi con un?infezione allo stomaco, suo fratello e un amico con amputazioni ad entrambi i piedi. Eppure Angel López Soto, 55enne fotografo e giornalista umanitario, nato a Buenos Aires e residente a Madrid, sceglie i loro volti chini su una ciotola di riso, le loro spalle contratte dalla fatica e dal freddo e i loro piedi martoriati da geloni e vesciche per dire che c?è ancora speranza. Sceglie questa foto del 1998, tra migliaia scattate in India, Nepal, Stati Uniti ed Europa nell?arco di 11 anni, per raccontare le vite degli oltre 120mila rifugiati tibetani che hanno scelto l?esilio. Per raccontare il dramma che si consuma oggi, dieci anni dopo.

Vita: Come è nato questo scatto?
Angel López Soto: Ho incontrato Samten, suo fratello e un loro amico al Centro di accoglienza per rifugiati tibetani di Katmandu. Per arrivarci, avevano superato il Nagpa La: il passo a 6mila metri di altitudine che separa Tibet e Nepal su cui, ogni anno, perdono la vita oltre 4mila persone. Erano stremati dalla fatica ma anche psicologicamente per aver trovato imprigionati nel ghiaccio del Nagpa La i cadaveri di altri giovani tibetani. E il loro viaggio non era ancora finito: dopo una sosta e le cure al centro di Katmandu, avrebbero dovuto raggiungere Delhi in autobus e, finalmente, Dharamsala. È un periplo che può durare mesi e che, in mancanza di documenti validi per entrare in India, si effettua con un permesso speciale dell?Alto Commissariato Onu per i rifugiati grazie a un accordo con il Nepal. Accordo che nel 2005 è stato abolito su pressione del governo cinese.

Vita: In che modo questa foto rappresenta la speranza?
López Soto: Perché Samten e gli altri non sono morti, ce l?hanno fatta. E per lo sguardo dolce di Tenzin Yanky, l?infermiera in piedi accanto a loro, responsabile del centro di accoglienza. È un?esule tibetana. Ogni mattina accoglie persone denutrite, ustionate dal sole e con arti congelati. Ogni giorno, con i suoi aiutanti, pulisce, disinfetta e cura migliaia di ferite che sono la prova sanguinante di un esilio che dura da mezzo secolo. «Molti giovani muoiono nella neve mentre i loro genitori, in Tibet, pensano che siano sani e salvi in Nepal o in India», mi ha confidato.

Vita: Fra i tuoi lavori dedicati all?esilio tibetano, ci sono molti scatti del Dalai Lama. Che uomo è?
López Soto: Un lottatore, pacifico, che crede in una soluzione pacifica per il Tibet e per il rispetto dei diritti umani.

Vita: Che impatto possono avere delle foto su una crisi paralizzata da interessi commerciali e calcoli politici?
López Soto: Spero di farne una mostra itinerante, e un libro. Il titolo? Speranza, direi.Carlotta Jesi


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