Politica

Dpef. Tour de force alle Camere

Ultimi giorni e calendario fittissimo, per il Dpef. Il nuovo ministro del Tesoro dice che "terrà conto" delle indicazioni delle parti sociali, che arriveranno domani. Poi le Camere faranno gli strao

di Ettore Colombo

Ultimi giorni e calendario fittissimo, per il Dpef. Il Documento di programmazione economica e finanziaria – il più “lento” nella storia della Repubblica – promette infatti un fine settimana di fuoco per i deputati e i senatori che si vedranno probabilmente costretti a “straordinari” di sabato e domenica per poterlo approvare entro il 2 agosto, data, questa, indicata come termine ultimo dallo stesso presidente del Consiglio. Il varo da parte del Consiglio dei Ministri, anticipato nei giorni scorsi, è ancora atteso per giovedì, probabilmente nella tarda serata (si ipotizza una convocazione della riunione di governo alle 20), ma sarà preceduta da un intensissimo lavoro di preparazione che già da ieri sera sta occupando i tecnici di via XX settembre. Rispettando la rinnovata concertazione offerta dal “nuovo corso” di Siniscalco, il Dpef passerà attraverso il vaglio delle parti sociali (domani è previsto l’ultimo round con enti locali, sindacati e imprenditori), per poi “tentare di recepire – come avrebbe riferito il ministro dell’Economia nel vertice di maggioranza di oggi – alcune delle richieste avanzate nel corso dei confronti con le parti”. Il testo, in fase di “limatura”, non ha ancora l’indicazione di alcuni dati fondamentali, come l’inflazione programmata, che però autorevoli fonti di governo insistono a indicare nell’1,6%. Ancora da sciogliere, inoltre, è il nodo sulla riforma fiscale. Il premier insisterebbe sulla necessità di dare un seguito normativo alle sue promesse elettorali. Molte le eccezioni. Tra queste alcune, pesanti, del dicastero di via XX Settembre che, al massimo, si mostra disponibile “a tentare di scaglionare in due, o più anni, l’abbattimento di un punto di pil (12 miliardi di euro circa) della pressione fiscale”. Probabile, dunque, che il documento finale, votato alla nuova “filosofia” realista di Siniscalco, possa contenere solo alcuni obiettivi, senza però mettere nulla nero su bianco scaricando la responsabilità della contabilità (economica e politica) alla prossima Finanziaria.
Al momento, gli unici dati certi, sono quelli riguardanti l’entità di partenza della prossima finanziaria che sarà – di sola correzione dei conti pubblici – da 24 miliardi di euro, al netto del taglio delle tasse e del “saldo” dei tassi di interesse (mezzo punto di differenziale può costare 8,5 miliardi). La strada del Dpef, già attraversata da due “verifiche” di governo, si incrocia anche con la riforma delle pensioni (a sua volta legata a doppio filo con quella del federalismo) e che “regala” alla linea del premier la vittoria di un nuovo round. Secondo quanto viene riferito da alcuni partecipanti al vertice di oggi a via del Plebiscito – al di là del “via libera” tutto politico di Umberto Bossi – l’ok alla fiducia sulle pensioni sarebbe nato proprio da esigenze di “credibilità” in Europa e di “rafforzamento” per la manovra 2005. “Se fallissimo sulle pensioni – avrebbe detto Berlusconi agli alleati – Bruxelles non crederebbe più in noi”. Insomma: il timore di passi falsi, dovuti ad una maggioranza in fibrillazione, e il ricordo – evocato ancora oggi – dei “fantasmi del ’94” (anno in cui la Lega, proprio sulle pensioni, fece cadere il primo Governo Berlusconi) avrebbero convinto i più a “fidarsi gli uni degli altri”. Pensando magari di rimandare il confronto vero al momento della Finanziaria.

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