Mondo

Dove va la banda?

film. Ottimo esordio dell’israeliano Eran Kolirin

di Maurizio Regosa

ha uno stile piuttosto ?semplice? questo film israeliano che ci racconta una realtà che vorremmo. Pochissimi movimenti di macchina, campi e controcampi, una struttura lineare: Eran Kolirin ha scelto per il suo esordio, del resto molto interessante, il low profile. Preferendo, evidentemente, che lo spettatore si possa concentrare sulle dinamiche relazionali fra il gruppo musicale della polizia egiziana e gli israeliani che li accolgono (un incontro messo in scena benissimo da interpreti assai credibili). Giacché sia dall?una che dall?altra parte c?è un?umanità abbastanza imprevedibile. A cominciare da Tewfiq, colonnello direttore d?orchestra – fiducioso ma non troppo nel principio d?autorità, col suo passato doloroso – per arrivare al suo vice frustrato, sino al musicista più giovane della banda (che in una scena paradossale spiega in arabo l?amore cosa sia, a un ebreo, confessando il proprio narcisismo).

Anche dall?altra parte non si scherza però. Giovanotti gentili, sì, ma variamente problematici, ciascuno come fosse privo di un progetto esistenziale.

È israeliana anche la ristoratrice Dina, che fa in modo di trovare una sistemazione per i musicisti smarriti (hanno sbagliato strada e si ritrovano in una landa desolata, un centro sprovvisto persino di un hotel). Una donna a suo modo affascinante e parecchio volitiva, autonoma e capace di permettere al prossimo di guardare le sue debolezze, le sue contraddzioni, di indicargliele addirittura. È lei – non a caso una donna – a condizionare col proprio gli atteggiamenti altrui. Ed è grazie alla sua sincerità che si rende più visibile e concreta la prospettiva da cui Kolirin guarda alla sua microstoria e al rapporto fra il mondo ebreo e quello arabo: la politica viene dopo – è come dicesse – non riesce mai a organizzare il sentimento, individuale e collettivo, né a determinarlo.

Da qui l?attenzione al graduale disvelamento degli stati d?animo e delle emozioni, mediante soprattutto i gesti e i volti. Da qui anche un tono da parabola; il film inizia appunto con un avvertimento: «Non molti anni fa questo poteva accadere». Incontrarsi e guardarsi negli occhi non era impossibile. E oggi? Con il riesplodere dello scontro, si è perduto il senso dell?umano – simboleggiato qui dalla musica, qualcosa che non ?serve? in senso stretto ma allarga le emozioni e lo spirito. Una tesi non nuovissima, direte voi e avrete ragione. Ma come rimotivata da Kolirin (che è anche sceneggiatore) e dai suoi personaggi, semplici ma capaci di autenticità.

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