Volontariato
Dove sono i volontari? In cerca di un nome nuovo
Tra il 2015 e il 2021 sono spariti quasi un milione di volontari, dice l'Istat. O forse semplicemente il volontariato non passa più (solo) dalle organizzazioni. «Persa l'occasione del ricambio generazionale» per il sociologo Stefano Laffi. «Ma c'è un fiorire di nuova attenzione alle relazioni e alla prossimità quotidiana ancora senza nome», sottolinea il professor Ivo Lizzola
I primi risultati comunicati dall’Istat relativamente alla rilevazione campionaria delle istituzioni non profit ha certificato la sparizione di quasi un milione di volontari, in Italia, fra il 2015 e il 2021. Al 31 dicembre 2021 – una data oggettivamente particolare, quando la situazione pandemica era ancora fluida e segnata da quarantene e stop&go – il 72% delle istituzioni non profit d’Italia dichiarava di avere dei volontari, per un numero complessivo di 4,66 milioni di volontari, in calo netto rispetto ai 5,5 milioni del 2015.
«Il Terzo settore ha resistito all’urto della pandemia, continuando a rappresentare un insostituibile e fondamentale presidio di socialità e solidarietà anche e soprattutto nella drammatica fase che ha visto esplodere nel Paese il senso di solitudine e indebolito le relazioni sociali», ha dichiarato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore. «Attraverso la prossimità alle persone, il Terzo settore risponde ai bisogni sociali, di welfare, di sviluppo delle comunità nel nostro Paese. E lo fa continuando a crescere. Il calo dei volontari ci deve invece far riflettere su come stiano cambiando le modalità di partecipazione, soprattutto dopo la pandemia, e ci interroga su come stimolare e promuovere la cittadinanza attiva in una fase di trasformazione socio-economica». Non c’è una analisi approfondita sul punto nei primi commenti di CSVNet, con la presidente Chiara Tommasini che ha chiesto «politiche di sostegno e accompagnamento per facilitare il ricambio generazionale e favorire l’ingresso di nuovi volontari anche con campagne di promozione specifiche capaci di raggiungere i giovani già in età scolare».
Il dato certamente è di difficile lettura, a cominciare dal momento storico in cui è stato raccolto. E sicuramente alle lenti con cui Istat misura il volontariato sfugge tutto quello che da anni viene raccontato come “volontariato informale”. D’altra parte però dinanzi a questi numeri, è necessario avviare un dibattito.
2021, una data che non fa testo
«Il 31 dicembre 2021 è un momento troppo particolare, il biennio 2020/21 è stato un unicum della nostra storia e tutti auspichiamo che resti tale. È difficile farci dei ragionamenti per cogliere una tendenza, perché certamente il confronto tra il 2015 e il 2021 è segnato strutturalmente da caratteristiche specifiche, non è lo stesso che ragionare – per esempio – sul 2017-2023», sottolinea Stefano Laffi, sociologo e ricercatore di Codici. «Da un alto quella “convocazione” che c’era stata durante le prime fasi della pandemia oggi si è sicuramente smorzata e d’altra parte quella situazione fluida che c’era a fine 2021 oggi ha in parte preso delle direzioni. La fotografia del 2021, in ogni caso, non dice nulla di chi siamo noi oggi nel 2023». Laffi ricorda come in quei mesi tantissime persone stavano decidendo che vita fare: «Lo abbiamo visto nel mondo del lavoro e probabilmente sarà accaduto qualcosa di simile anche sul fronte del volontariato: qualcuno forse aveva già deciso di non fare più quel lavoro o quell’attività di volontariato che faceva prima, qualcuno stava riflettendo se riprendere o meno: non si può non tenere conto di questa specificità».
Un’occasione persa per il ricambio generazionale
Di certo «Istat non vede “il boost” di disponibilità dei giovani volontari che si è registrato con la pandemia, per esempio nelle consegne a domicilio, come non vede i ragazzi che hanno contattato, numerosi, le organizzazioni di volontariato per dare una mano e non hanno potuto farlo, perché le organizzazioni avevano chiuso ai volontari», prosegue Laffi, ma sarebbe illusorio raccontarsi che è solo un tema di lenti, perché «quel boost motivato dall’urgenza e dalla necessità oggi si è riassorbito. Per qualcuno sarà rimasta una scelta di vita ma per altri no». Ecco allora il tema di riflessione che Laffi pone: quanto le associazioni e il mondo del volontariato «abbiano saputo capitalizzare il periodo emergenziale per fare una lettura delle risorse potenziali del territorio, in particolare dei giovani. Il fatto che le nostre associazioni, anagraficamente molto mature non serve nasconderselo, non abbiano saputo cogliere il biennio 2020/21 come l’occasione per un ricambio: questo non ce lo dicono i dati, ma il dialogo con le organizzazioni. Non è stata colta l’occasione per dire “è il momento di affidarci ai giovani” e così le associazioni si sono più bloccate che rinnovate».
La mancanza del “tempo in più”
Ivo Lizzola insegna Pedagogia sociale all’Università degli Studi di Bergamo e mette in luce come «siamo in una fase di transizione che non sappiamo cosa consoliderà. Probabilmente è vero sia che i volontari sono diminuiti sia che c’è un volontariato informale che dobbiamo imparare a leggere». Il calo del volontariato “tradizionale” non lo stupisce: «Prima il volontariato era un mettere a disposizione il tempo in più e le energie in più, mentre oggi le persone sono molto impegnate dalle nuove prove della vita, tu oggi le tue energie le devi spendere per riprogettare quotidianamente la tua vita. Stiamo vivendo la crisi di un vecchio modo di intendere e di vivere le reti della prossimità e l’articolazione di tali reti. Ci sono nuove presenza e nuove distanze, forse non abbiamo le chiavi per leggerle e forse queste istanze non hanno ancora “deciso” che strade prendere», dice il professore.
Nuove relazioni di prossimità
Quello che Lizzola però osserva, nei luoghi di lavoro come tra i giovani in università, è il fatto che «la relazione di aiuto sta assumendo una densità nuova: siamo più attenti alle vite degli altri, c’è una maggiore attenzione reciproca e questo si declina molto nello scambio concreto e nella quotidianità. Sta fiorendo una nuova attenzione alle relazioni, c’è un senso di fraternità che forse prima veniva istituzionalizzato nel volontariato e che adesso invece trova altre strade, per esempio nelle relazioni in famiglia, amicali, nelle relazioni intergenerazionali. Ci sono tantissimi adolescenti e giovani che – volenti o nolenti – si prendono cura dei nonni e questo impatta sul tessuto fine delle relazioni e delle interiorità. Tutto questo come lo chiamiamo? È volontariato? È un sostituto di forme di solidarietà?», ragiona Lizzola. «A me piace osservare quello che sta nascendo piuttosto che i mutamenti dentro le quantità, anche perché – come diceva Bonhoeffer – le quantità si contendono lo spazio, mentre le qualità si integrano».
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