Welfare

Dove sono e cosa fanno i migranti del Baobab?

Un reportage per scoprire dove sono finiti i migranti del Centro Baobab. Davanti alle vetrate d’ingresso della avveniristica Stazione ferroviaria di Roma Tiburtina, un centinaio di migranti trascorrono la giornata e dormono tra le gelide banchine degli autobus in attesa del prossimo sgombero

di Giacomo Sini e Francesco M. Bassano

Davanti alle vetrate d’ingresso della avveniristica Stazione ferroviaria di Roma Tiburtina, un centinaio di migranti trascorrono la giornata e dormono tra le gelide banchine degli autobus. Sono una parte dei migranti che si sono ritrovati di nuovo in strada dopo l’ennesimo sgombero del limitrofo centro Baobab, avvenuto con ruspe e camionette della polizia la mattina di martedì 13 novembre. 139 persone sono state prelevate forzatamente e portate in questura per essere identificate, nonostante molti fossero già in possesso dello status di rifugiato, di questi solo 57 hanno trovato una ricollocazione nel circuito dell’accoglienza ufficiale. La tendopoli informale era stata realizzata nel 2016 grazie ad un gruppo di volontari, operatori sociali, e cittadini che dopo la chiusura dell’omonimo spazio – nato già come punto di raccolta e rifugio per i migranti – avevano continuato a svolgere attività di prima accoglienza a migranti in transito, con il supporto di onlus, associazioni legali e mediche e un network costituito da attivisti dei diritti umani di tutta Europa. In quello che era un piazzale in disuso antistante alla ferrovia sono passate oltre 70 mila persone, molte delle quali hanno già subito almeno uno dei venti sgomberi e perquisizioni attuati nella breve storia del campo.

In questi anni il comune di Roma non è mai riuscito a trovare una soluzione appropriata per la sistemazione delle migliaia di richiedenti asilo che si sono ritrovati, arrivando da Lampedusa o dopo l’espulsione da altri stati europei con il trattato di Dublino, nella capitale italiana. Si tratta di individui ma anche di famiglie di varia provenienza che spesso hanno subito traumi e violenze, viaggi estenuanti e torture nei campi libici, e da mesi sperano di poter accedere alle pratiche per la regolarizzazione dei documenti. Un buon numero come quelli di Tiburtina, dormono per strada o sotto i ponti delle tangenziali insieme a senzatetto italiani, o in ex fabbriche abbandonate come l’ex Penicilina in mezzo a rifiuti tossici, o hanno trovato ospitalità presso associazioni informali e autogestire analoghe al Baobab, le quali hanno realizzato una rete per il “diritto all’abitare”.

Nei centri comunali o negli Sprar finché esisteranno – nel Decreto Sicurezza approvato da poco anche alla camera è prevista la quasi completa abolizione di questo sistema di “accoglienza diffusa” nato per garantire un percorso della durata di sei mesi finalizzato all’integrazione del cittadino extracomunitario – i posti sono limitati e la lista di attesa può durare mesi, se non anni. “Hanno giustificato lo sgombero con le proteste dei residenti. Ma in realtà in questa zona non ci sono abitazioni.

Da quando hanno aperto gli uffici della nuova sede della BNL Paribas nel grattacielo della stazione, la situazione è peggiorata” racconta Roberto Viviani, 27 anni, presidente dell’associazione “il gruppo bancario ha acquistato da poco un altro edificio qui nei dintorni, con l’intento di riqualificare la zona vogliono spingerci sempre più ai margini.”. Il ministro dell’interno e vicepremier Matteo Salvini nella propria propaganda anti-migranti aveva attaccato l’esperienza del Baobab in numerosi post e dichiarazioni, il giorno della retata ha esultato sul suo profilo Facebook con un proprio fotomontaggio con in mano una ruspa, scrivendo "Zone franche, senza Stato e legalità, non sono più tollerate”. Una presunta battaglia contro l’illegalità che però non coinvolge l’abusivismo di Casa Pound, un’organizzazione neofascista che nel 2003 ha occupato uno stabile a pochi passi dalla stazione di Roma Termini, nel quartiere dell’Esquilino, considerato dallo stesso ministro “uno sgombero non prioritario”.

Il timore degli operatori e di alcuni degli stessi migranti, è che al fallimento del sistema d’accoglienza romano e alla lotta dei partiti di governo contro realtà come il Baobab che cercando invece di fronteggiare il problema, possa intervenire in soccorso la criminalità organizzata sempre alla ricerca di nuova manovalanza. Uno scenario che gioca in favore alla propaganda di Matteo Salvini, il quale ha costituito il solo consenso sulla criminalizzazione dei migranti, rappresentati come elemento avulso e causa di conflitto.

Dopo la plateale operazione del 13 novembre, le forze dell’ordine si sono già presentate due volte di seguito in Piazzale Spadolini per risgomberare l’area, impedendo ai volontari di avvicinarsi ai migranti. La mattina del 22 novembre la polizia ha provveduto alle identificazioni, trasportando in questura 14 persone che già erano state foto-segnalate nei giorni precedenti. Lo scopo è quello di liberare il piazzale per stroncare sul nascere nuovi assembramenti ed interrompere definitivamente l’attività di solidarietà.

Le ultime retate hanno dunque peggiorato la situazione: “con l’inverno che si sta facendo sempre più freddo le persone finite in strada rischiano la morte, se proviamo a ripiantare anche una sola tenda nelle vicinanze si ripresenterà la polizia per sgomberarci” continua Roberto “stiamo cercando un altro luogo dove stabilirci, ma vista la situazione politica attuale con la definitiva approvazione del decreto sicurezza, tutto sarà più difficile”. Nonostante gli sgomberi, l’associazione insieme ad altri volontari accorsi da tutta Italia è ancora presente con continuità nell’area di Tiburtina, garantendo la distribuzione dei pasti due volte al giorno, sacchi a pelo, coperte, supporto psicologico, e assistenza medica, e legale specie per coloro che in questi giorni ha ricevuto un provvedimento di espulsione dalla Questura di Roma. “Sono tredici in tutto per adesso” spiega Valerio del Team legale che opera al Baobab “li stiamo esaminando attentamente, almeno cinque risultano illeciti sulla base delle norme di protezione nazionale e internazionale, per questo abbiamo chiesto il ricorso”.

Come racconta Giovanna Cavallo, attivista da oltre vent’anni nella difesa legale dei migranti, tra i motivi per l’espulsione, la questura ha aggiunto la mancanza di un domicilio sostenendo l’esistenza di una circolare che però non è stata mostrata ai legali. Dove, come ha sostenuto recentemente una sentenza di un giudice del Tribunale di Roma “La Questura non può decidere se una istanza di protezione internazionale sia ammissibile o meno”.
Yassin (nome di fantasia), un uomo di 55 anni, che prima alloggiava nelle tende del Baobab, sogna un giorno di portare il proprio figlio dalla Tunisia per farlo diventare un campione di calcio: “se mi dessero la possibilità in Italia lavorerei 24 ore al giorno per garantire un futuro alla mia famiglia, la Tunisia è stata distrutta dai politici corrotti e dall’integralismo musulmano, prima o poi la guerra riscoppierà nuovamente”.
Poco lontano dai celebri monumenti che ogni giorno portano centinaia di turisti da tutto il mondo a visitare la “città eterna”, nei volti di chi non ha trovato altro luogo che il piazzale davanti Tiburtina si legge soltanto il senso dell’abbandono e la disperazione.

L’unica attesa è quella del prossimo sgombero.

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