Cultura

Dove regna il machete

Mani amputate da guerriglieri fanatici, migliaia di bambini costretti a imbracciare le armi, popolazione disperata.Eppure Roberto Misuriello, bancario e cooperante,spera nella pace

di Federico Cella

Sono costretti a scegliere. Dalla paura, dalla certezza che tanto non c?è speranza. In quella maledetta sacca di pelle c?è un biglietto su cui è scritto il loro futuro: maniche lunghe? Mani amputate. Maniche corte? Il machete colpirà appena sotto le spalle. Oppure lo scalpo. Oppure ancora la morte, salutata quasi con sollievo. Immagini, più che d?orrore, di disperazione, raccontate da Roberto Misuriello, volontario che tra gli uomini, le donne e i bambini dei villaggi nel nord della Sierra Leone ci vive ormai da 24 anni. Gente senza un futuro, alla mercè delle bande di guerriglieri che imperversano senza una regola, con la cattiveria di chi ha perso un potere che riteneva di sua proprietà, e senza che alcun freno sia posto da parte del governo attuale.
Roberto Misuriello, 46 anni, non è un cooperante di professione, bensì un geometra bancario, che per ventura, nel ?74, si è trovato a fare due anni di servizio civile internazionale proprio nel Paese dell?Africa occidentale. Paese a cui ha donato il suo cuore e il suo impegno. «Ma oggi come oggi in Sierra Leone, dopo otto anni di guerra civile, non è più nemmeno possibile concepire un progetto sanitario o agricolo», spiega Misuriello, ora responsabile per l?ong Coopi (Cooperazione internazionale) di un programma di primary care a Lunsar. «Non ci sono regole – benché a Freetown sia insediato un governo democraticamente eletto – né fazioni o ideologie ben delineate. Esistono solo la guerriglia, il panico della popolazione, le mutilazioni; e, in mezzo a questa anarchia, il ?business per pochi? portato avanti dai Paesi occidentali».
Un governo senza esercito, dunque. Una forza di pace – l?Ecomog, la comunità degli stati dell?Africa occidentale ?guidata? dalla Nigeria – intenta a curare solo i propri interessi. Soldati, non importa con quale divisa, che si procurano cibo e denaro esercitando la professionalità del loro fucile. Bambini-soldato (se ne contano dai 3 ai 10 mila) che vivono seguendo l?unica lezione che hanno potuto imparare, quella della violenza. Un?agricoltura di sussistenza ormai abbandonata a se stessa. Flussi di rifugiati che abbandonano le campagne insicure per ammassarsi in topaie cittadine (la città di Makeni, negli ultimi sei anni, ha visto la sua popolazione passare dalle 20 alle 150 mila unità) oppure che fuggono nelle vicine Guinea e Liberia (se ne contano almeno 500 mila). Una desertificazione di valori e regole, che da mesi impedisce anche ai professionisti di Médécins sans frontières e della Croce Rossa internazionale di lasciare il porto ?sicuro? di Freetown per portare il proprio aiuto alla popolazione del nord.
Ma da questo nulla affiorano alcuni personaggi, degni di un?epopea, ma decisamente reali nel loro impegno per il popolo della Sierra Leone. Come padre Berton, dal Veneto alla foresta sierraleonese, abile come un commando nell?aggirarsi tra le file dei ribelli e nello strappare, seppur in minima parte, i bambini-soldato alle schiavitù della droga e della violenza, per cercare di reinserirli nella vita normale. Oppure sister Paul. «Mi ha riconosciuto subito, quando sono tornato all?ospedale di Makeni un anno fa», racconta Roberto Misuriello. «Era sempre lì, da sola a portare avanti l?unico ospedale funzionante nella zona. Raccoglie tutti, le migliaia di persone fuggite dai villaggi, orribilmente mutilate e quasi private della loro coscienza dalla violenza senza scopo che hanno subito». Ma solo un quinto dei disperati che hanno conosciuto la cieca violenza dei guerriglieri del Ruf (Revolutionary united front), in balia di droghe e alcol, riesce ad arrivare all?oasi di Makeni. Dove la forte suora irlandese cura, con i pochi medicinali che arrivano, le ferite del corpo e, per quanto possibile, dell?anima. «La visione che ho avuto nell?ospedale di Makeni – spiega Roberto Misuriello -, è la fotografia della situazione dell?intera Sierra Leone. Quando vedi un bambino mutilato senza pietà, ti chiedi quale futuro può avere questo Paese».
E questa domanda il cooperante-bancario, l?aveva rivolta a monsignor Biguzzi, vescovo di Makeni. Un prelato molto pratico ed energico, che non si fa scrupoli a contrattare con un trafficante libanese per ricomprare la macchina che gli avevano rubato, unico mezzo per poter continuare la sua opera nella regione. «?Non vedo niente, Roberto, nel futuro di questo Paese. E sarà così ancora per molti anni?, mi aveva risposta monsignor Biguzzi. Ma poi ha aggiunto quello che tutti noi che lavoriamo per la Sierra Leone fortemente crediamo: ?Io sono un uomo di fede e la fede è l?unica cosa che è rimasta a questo Paese. Per cui tutti dobbiamo credere che sia possibile un futuro di pace anche per loro; e tutti dobbiamo lavorare perché si realizzi?».
Rapporti di forza tra le vicine Liberia e Nigeria. Velleità di comando di avventurieri che, con un po? di dialettica, sono in grado di costituire un esercito reclutando una popolazione senza più ideali. Molti fattori hanno contribuito ad arrivare all?attuale situzione in Sierra Leone. Ma, soprattutto, gli interessi della multinazionali occidentali: «I diamanti possono essere estratti ed esportati senza il bisogno di licenze o senza tasse da pagare a qualcuno», riflette Roberto Misuriello. «E poi il grande business dei rifiuti tossici, un affare da migliaia di miliardi. I container pieni di scorie industriali arrivano nel sud del Paese da tutta Europa, anche dall?Italia. È facile usare come pattumiera un Paese in cui non esiste più la legge».

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