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Dove prima c’era un muro, ora vogliamo educare alla pace

Il 31 dicembre si terrà tra Gorizia e Nova Gorica una marcia per la pace, organizzata dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace assieme ad altre realtà. Scopo degli organizzatori è rendere la città di confine un luogo di promozione della cultura dell'incontro e del dialogo, dove formare alla pace

di Veronica Rossi

Foto della pavimentazione di una piazza, con al centro una placca tonda con scritto da una parte Italia edall'altra Slovenia

Gorizia è una città particolare: tagliata in due dal confine con la Slovenia, è un luogo in cui la storia ha lasciato segni indelebili. È stata teatro di tutte le guerre e i conflitti che hanno funestato l’Europa nel Novecento, dalla Grande Guerra alla Guerra Fredda. Ma ora è anche un luogo d’incontro: a dividerla dalla sua gemella straniera, Nova Gorica, non più un muro, come un tempo, ma una linea immaginaria, rappresentata sulla pavimentazione di piazza Transalpina. Proprio per questo motivo è particolarmente significativo che il 31 dicembre, alla vigilia della cinquantasettesima giornata per la pace, lungo le strade di questa città – e della sua vicina – si terrà una marcia transfrontaliera della pace, organizzata dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro la giustizia e la pace, insieme all’arcidiocesi di Gorizia, Azione cattolica italiana, Caritas italiana, movimento dei Focolari Italia e Pax Christi. Il giorno precedente, invece, si terrà il convegno di Pax Christi, sul tema “Intelligenza artificiale e pace”.

«Gorizia è stata scenario della Prima guerra mondiale, così come della seconda», afferma don Nicola Ban, parroco della cattedrale della cittadina, tra gli organizzatori della manifestazione, «e poi è stata luogo di confronto tra due blocchi, tagliato in due da un muro che separava l’abitato italiano da quello sloveno; pare chiaro, quindi, che una delle vocazioni di questo territorio è l’educazione alla pace». Dove prima c’era un confine armato, oggi c’è dialogo e collaborazione; gli scambi e la cooperazione sono sempre più frequenti, tanto che Gorizia e Nova Gorica saranno, nel 2025, capitale europea della cultura. E lo saranno insieme. «Sfruttando questa occasione, vorremmo che le due città diventassero anche luogo in cui si fa cultura della pace», commenta il parroco. Per questo motivo anche la marcia andrà oltre i confini: inizierà in suolo italiano, ma finirà in suolo sloveno.


Gorizia non è solo un posto per ricordare, ma anche per agire: assieme a Trieste, è uno dei punti di ingresso maggiori nel nostro Paese della rotta balcanica. La manifestazione avrà un occhio sul passato, ma guarderà anche in maniera forte al presente, come testimoniato dal tragitto e dagli interventi scelti. «Dopo un’introduzione del vescovo ci sarà una prima tappa verso un centro per minori stranieri non accompagnati», continua don Ban, «che ospita un’ottantina di ragazzi ed è il più grande gestito dai salesiani in tutta Italia; qui parlerà Giovanni La Manna, già direttore del Centro Astalli e ora direttore della Caritas di Trieste, su cosa significa fare pace accogliendo le persone dalla rotta balcanica. Ci sarà anche una testimonianza di un giovane accolto, poi ci sposteremo nella piazza centrale di Gorizia, dove Luca Grion, professore di filosofia morale dell’università di Udine farà una riflessione sul tema dell’intelligenza artificiale e della pace. Davanti alla sinagoga ci sarà un momento di silenzio e preghiera». In piazza Transalpina – divisa a metà tra Italia e Slovenia – interverrà Silvester Gaberšček, etnologo e sociologo, sull’Europa e il suo ruolo per la promozione della pace. L’evento si chiuderà con tre testimonianze di cooperanti dai luoghi in cui imperversano le guerre che, negli ultimi due anni, hanno sconvolto l’opinione pubblica, Ucraina, Gaza e Israele.

«C’è stato un tempo in cui a Gorizia venivano formati i corpi civili di pace, essendo un luogo di incontro e di scambio», conclude il parroco. «Una delle proposte del convegno e della marcia è rilanciare questo ruolo della città, come punto nevralgico in Europa per imparare a negoziare e a coltivare la pace».

Foto in apertura da Wikicommons

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