Salute diseguale

Dove mi curo? La mappa (disomogenea) degli ospedali

La guida aggiornata dei centri di chirurgia oncologica mostra che quasi un ospedale su due esegue interventi sotto soglia, prende cioè in mano troppo poco il bisturi, con conseguenze per la sicurezza e la prognosi del paziente.

di Nicla Panciera

Photo by Piron Guillaume on Unsplash

Dopo una diagnosi, la domanda che tutti i pazienti si fanno è «E, adesso, dove vado? Da chi vado? Dove mi curo?». Quesiti non da poco: la scelta del luogo di cura può fare la differenza per il paziente che ormai è consapevole del fatto che il numero di casi trattati è un criterio più valido di altri, come ad esempio della vicinanza al proprio domicilio, per stabilire dove andare. Rivolgersi a un centro ad altro volume significa maggiore sicurezza e maggiore efficacia per il paziente. Questo è vero anche nel caso della chirurgia oncologica, dove il numero di interventi rappresenta uno degli indicatori più affidabili delle strutture sanitarie.

Ebbene, in Italia circa il 46% degli ospedali esegue interventi di chirurgia oncologica “sotto soglia”, quindi esegue un numero di interventi troppo basso. Per il tumore della mammella, per esempio, il valore soglia è di 150 interventi l’anno. Significa che al di sotto il centro non è in grado di offrire le medesime sicurezza e qualità degli esiti dei centri con interventi sopra la soglia prevista. Inoltre, solo in 13 strutture italiane è presente un percorso di cura la cui qualità è certificata da Oeci Organisation of European Cancer Institutes, l’organizzazione che riunisce in rete la maggioranza degli istituti oncologici europei e lavora per coordinare e armonizzare la ricerca in oncologia, al fine di produrre nuove evidenze scientifiche e strategie cliniche

Sono questi i dati emersi dalla nuova edizione di “Dove mi Curo?”, la guida aggiornata dei centri di chirurgia oncologica redatta sulla base dei dati dell’ultimo Programma Nazionale Esiti di Agenas, presentate dalla Rete oncologica pazienti italia (Ropi). «Come ogni anno la nostra mappa si propone l’obiettivo di aiutare i pazienti e i loro cari ad orientarsi tra le strutture sanitarie che effettuano interventi di chirurgia oncologica» ha spiegato Stefania Gori, presidentessa di Ropi e dell’Associazione italiana gruppi oncologici multidisciplinari Aigom. «Quest’anno abbiamo aggiunto un ulteriore tassello, quello relativo al percorso assistenziale, consapevoli che il solo dato quantitativo non è sufficiente a dare un’indicazione corretta e completa sulla qualità di un ospedale». 

Il divario Nord Sud

Se da un lato c’è stata dal 2017 al 2022 una riduzione del 16% dei luoghi di cura in cui si eseguono un volume ‘sotto soglia’, dall’altro però gli ospedali sotto soglia hanno diminuito il loro volume di interventi, passando da 57.419 interventi nel 2017 (29% degli interventi totali) a 47.230 nel 2022 (23% degli interventi totali). «Rimane invece invariato il gradiente Nord-Sud, con il Nord in cui la maggior parte delle Regioni ha ospedali ‘sopra soglia’ per tutte le 17 patologie considerate, e il Sud in cui solo 3 regioni (Puglia, Campania e Sicilia) coprono tutte le patologie», sottolinea Fabrizio Nicolis, consigliere Ropi e coordinatore del progetto. Sono quattro le Regioni in testa nella top ten dei centri che registrano il maggiore volume di interventi di chirurgia oncologica: Lombardia, Lazio, Toscana ed Emilia Romagna. Solo 3, invece, le Regioni del Sud ad entrare nei primi 10 posti e si tratta di Sicilia, Puglia e Campania.

Una valutazione complessiva del Centro

Inoltre, solo in 13 strutture italiane è presente un percorso di cura la cui qualità è certificata da Oeci (Organisation of European Cancer Institutes), l’organizzazione che riunisce in rete la maggioranza degli istituti Oncologici Europei. L’accreditamento che Oeci fornisce relativamente a standard di cura, sia a livello clinico che organizzativo/gestionale, è obbligatorio per gli Irccs oncologici italiani, che lo devono rinnovare ogni 5 anni, mentre è un riconoscimento volontario per gli altri ospedali e nel resto d’Europa. «La certificazione Oeci di accreditamento è di fatto la fotografia della reale attuazione degli standard qualitativi e qualitativi previsti dal Programma di qualità da parte di un istituto oncologico» spiegano Giovanni Apolone, presidente Oeci, e Claudio Lombardo, general manager Oeci. «Nonostante Oeci verifichi nel tempo l’avanzamento del Piano di miglioramento, che generalmente fa seguito alla certificazione, la qualità delle cure prestate è il risultato di un continuo processo di innovazione connesso allo sfruttamento dei risultati di ricerca».

Il postoperatorio

A confermare l’importanza della qualità dei percorsi assistenziali è anche Massimo Carlini, presidente della Società Italiana di Chirurgia Sic: «La diminuzione delle complicanze e della mortalità dipende anche dalla qualità delle cure postoperatorie, che è più strettamente correlata ad alcune caratteristiche specifiche dell’ospedale, più che al numero di operazioni eseguite. Alcune operazioni richiedono specifiche abilità intraoperatorie e in questo caso predomina il volume del chirurgo, mentre altre possono richiedere importanti e complessi trattamenti durante il decorso postoperatorio e allora predomina il volume dell’ospedale. Peraltro, dopo un miglioramento dei risultati nei centri ad alto volume, possono anche determinarsi risultati inferiori quando un determinato centro raggiunge il suo limite. Nel nostro Paese, considerato che il numero di posti letto, di medici di terapia intensiva, di chirurghi e di infermieri specializzati è ridotto, questo secondo aspetto è molto importante. In ogni caso le procedure chirurgiche complesse centralizzate dovrebbero essere disponibili in centri ben distribuiti in tutto il territorio nazionale».

Foto di Piron Guillaume su Unsplash


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