Famiglia

Dov’è il paradiso degli homeless? A San Francisco

Clima mite, reddito minimo garantito e volontari a go-go. Ecco perché i clochard d'America scelgono la West Coast

di Redazione

Downtown, S.Francisco, la zona ai piedi delle famose colline e il luogo degli Stati uniti dove vive il piu alto numero di homeless. Uomini, soprattutto, ma anche donne, vivono a piccoli gruppi, anche se sembrano conoscersi quasi tutti tra loro, e passano il loro tempo nelle zone piu degradate di questo che è pur sempre un pezzo del centro della città. Vivono qui perché il clima consente loro di sopravvivere anche all’aperto, ma soprattutto perché la comunità, la città e lo stato hanno steso una rete di aiuti che permette a questi che sono gli sconfitti di una società di sopravvivere. Lo stato della California fornisce loro un reddito minimo, un salario per «indigenza», le associazioni di volontariato gestiscono mense e dormitori. In alcuni di questi ultimi gli homeless possono dormire solo una notte la settimana. Una misura, mi spiegano, per tentare di spingere gli homeless a trovarsi delle sistemazioni stabili, che vale soprattutto per quanti non sono ancora «cronici». E la comunità, cosa fa la comunità oltre a dare prova di tolleranza? Per capirlo basta andare alle festa che si svolge all’angolo della Sesta strada con Mission street. Qui un paio di volte l’anno viene organizzata una festa per gli homeless, sponsorizzata anche dai grandi quotidiani della città oltre che dal municipio, che vede la partecipazione di un vasto numero di band, associazioni di volontariato e persino dell’associazione dei poliziotti della città. Non esiste un censimento degli homeless a S. Francisco, non esiste uno studio sociale che ti permetta di catalogare questo fenomeno ma è possibile, dai singoli racconti, cogliere brandelli di storia americana. Tra i piu anziani c’è qualcuno che viene direttamente dal Vietnam, ma sono ormai pochissimi. I più, da quello che si capisce dai loro racconti, hanno meno di quarant’anni e sono il frutto di una serie di esperienze fallimentari sia familiari che lavorative. La maggior parte di loro è alcolizzata e tossicodipendente. Nell’area di Downtown ci sono i centri di distribuzione di metadone e di assistenza per i tossicodipendenti. Uno dei centri di assistenza è nel seminterrato dell’edificio che ospita uno dei centri di formazione e riavviamento al lavoro istituiti dal municipio. Chiedo a Dan che opera in questo centro come va e subito mi risponde che lui con quelli del seminterrato non ha niente a che fare. Quelli che frequentano il seminterrato, mi dice, sono totalmente fuori dal mercato del lavoro. All’inizio si sono tentati programmi specifici anche per loro ma non c’è stato niente da fare. Oggi a Downtown si lavora per tentare di reinserire nel mercato del lavoro chi non rientra nelle categorie del tossicodipendente o dell’alcolizzato cronico, e anche cosi i risultati sono difficili. I corsi, mi dice, servono a poco, soprattutto con la crisi dell’hi tech. Spesso riescono a reinserire qualcuno per pochi giorni, quanto basta per interrompere il periodo di disoccupazione e dare la possibilità alla persona di aprirne un altro, il che significa almeno altri tre mesi di sussidio. Più raramente avviano alcuni a qualche settimana di lavoro o addirittura qualche mese, ma si tratta di casi rari. Mentre parliamo arrivano i clienti di Dan, per lo più neri, come lui, per lo più di mezza età. Nessuno ha voglia di raccontarti la propria storia. Del resto gli sconfitti negli Stati uniti hanno un senso di colpa che non ha uguali altrove. Mentre il successo, per essere tale, deve essere ostentato, la sconfitta deve essere nascosta altrettanto accanitamente. Dai loro commenti cogli brani di storie che sai comuni a decine di milioni di persone in questo paese. C’è un tale che si chiama Rusty che ti racconta dei suoi ultimi fottuti impieghi, sempre a scaricare qualcosa, traslochi o merci. Lui non resiste, perché ha dolori di schiena e non può lavorare in quel settore, e inveisce contro Dan che non sa trovargli altro. Per questo, dice, sono un disoccupato cronico, non trovo il lavoro che fa per me. Per lui come per altri, però, i programmi di educazione sui computer sono pura perdita di tempo. Chi li prenderà mai a fare lavori d’ufficio? Seguendo un consiglio di Dan vado alla sede dell’Esercito della Salvezza, due blocchi più avanti. Qui, come tutte le mattine, c’è una lunga coda. Sono quasi tutte donne, per lo più cinesi. Le più assidue o forse le più organizzate si sono portate un seggiolino e aspettano pazientemente il loro turno. Sono tutte anziane e rinuncio ad interrogarle perchè sono sicuro che nessuna di loro parla inglese. Possono essere qui anche da qurant’anni ma fino a ieri hanno vissuto solo nella comunità cinese e hanno avuto pochissimi contatti al di fuori di essa. E’ questa una caratteristica inquietante dei cinesi in America, un tratto della loro scarsa propensione all’integrazione. Nonostante sia forse la più ricca delle comunità immigrate, con una presenza di almeno cent’anni sul suolo americano, è l’unica comunità che non sente il bisogno di una propria proiezione politica, di una propria presenza nelle istituzioni. Della loro condizione, della loro storia mi parlano i volontari dell’esercito della salvezza. Ormai assistono soprattutto donne cinesi anziane perchè i vincoli di solidarietà all’interno della comunità si stanno allentando. Il fenomeno non è nuovo ma la crisi che ha scosso l’area di San Francisco ha immediatamente aumentato i bisognosi. Ormai, mi dicono, il rispetto per gli anziani va declinando anche nella comunità cinese e nella crisi che coinvolge le tradizionali attività, ristoranti, negozi, i soggetti deboli vengono messi ai margini. Così tutte le mattine si forma la colonna fuori dagli uffici. In mezzo ai cinesi spicca un bianco apparentemente ben vestito che scopro chiamarsi Greg. Greg, in cambio di un cappuccino, racconta la sua storia di ammalato cronico che ha perso il lavoro una decina di anni fa per troppe assenze e che da allora è sempre vissuto con lavori precari e paghe bassissime. Per campare ricorre, per ragioni di fede, all’aiuto dell’Esercito della Salvezza. Senza il quale non potrebbe curarsi e, soprattutto, non potrebbe avere una casa. Gli chiedo se frequenta i centri comunali ma scuote la testa. Lui i lavoretti riesce ancora a trovarseli da solo. Quello, sembra dire, è un gradino ancora più basso del mio. (Fonte: Il Manifesto)


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