Famiglia

Dove ho messo la memoria?

di Paola Strocchio

Liberamente tratto dal dialogo tra una mamma qualunque e un adolescente qualunque, un giorno qualunque di un mese qualunque di un anno qualunque.

Figlio: Tu non sai cosa vuol dire essere un adolescente.

Mamma: E invece lo so. Sono stata adolescente anche io.

Figlio: Sì, ma è successo tanto tempo fa.

Eh no, bello. Me la ricordo pure io l’adolescenza, anche se è passato qualche decennio. E chi se la scorda quella voglia di spaccare il mondo e di contraddire anche il moto di rotazione terrestre, o quella convinzione che “nessuno mi capisce” e che “quando sarò genitore non farò mai così”?! Adesso però sono dall’altra parte della barricata e quindi lascia che mi lamenti, figlio mio. Lascia che alzi gli occhi al cielo, che sbuffi e che invochi l’intervento di qualunque divinità. Andrebbe bene anche Apollo, proprio come ha fatto quella volta che Agamennone ha trattato male Crise che gli aveva chiesto di avere indietro sua figlia Criseide.

Mi fermo un attimo, però. Lo devo a me stessa e anche a lui, al mio adolescente preferito.

Respiro profondamente e penso. Se davvero me la ricordo, questa benedetta adolescenza, allora perché sono qui, a pigiare i tasti con un piglio che si avvicina parecchio all’isteria?

E’ come se l’essere passata dall’altra parte mi avesse cancellato la memoria a lungo termine e mi avesse in qualche modo autorizzato a fare tutto quello che in tempi non sospetti avevo giurato non avrei mai fatto.

In ordine sparso, negli ultimi mesi ho ripetuto un discreto numero di volte:

  • Questa casa non è un albergo!
  • Non è una camera, la tua, è una latrina!
  • Fino a quando vivrai sotto questo tetto farai come dico io!
  • Mettiti la canottiera! (ma questo lo sapete già, n.d.a.)
  • Copriti la gola ché altrimenti ti viene l’influenza!
  • Mi raccomando! (Raccomando cosa, poi? Non lo so nemmeno io, adesso che ci penso)
  • Mangia le verdure! (Beh, fanno bene, sempre)
  • Fai attenzione ad attraversare la strada (Santo cielo, fa prima liceo, avrà ben imparato a passare da un marciapiede all’altro, no?)
  • Hai preso i fazzoletti di carta? (Lo dicevo ben prima che arrivasse il tempo del coronavirus)
  • Vai a lavarti le mani! (idem come sopra)
  • Non dire le parolacce! (Parlo proprio io, che se voglio so sfoderare un repertorio di insulti da far arrossire un'intera curva dello stadio)
  • Hai messo tutti i libri nello zaino?

Dov'è andata a finire la mia memoria? Come è possibile che io sia diventata così? Forse la risposta è la stessa di una domanda che mi pongo altrettanto spesso: com’è che mi sono venute tutte queste rughe?

Il tempo.

Il tempo e le responsabilità.

Il tempo, le responsabilità e le preoccupazioni.

Il tempo, le responsabilità, le preoccupazioni e una discreta propensione a essere trituramarroni (cito mio figlio, perdonate il turpiloquio).

La brutta notizia è che non vedo soluzioni, al momento.

Forse arriveranno quando di tempo ne sarà passato ancora un po’, quando sarò un pochino più abituata a convivere con le responsabilità, quando la serenità supererà le preoccupazioni, e quando sarò un tantino meno trituramarroni (vedi sopra).

Sì, sarà così sicuramente.

E il mondo sarà un posto bellissimo. Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno. Ogni Cristo scenderà dalla croce e anche gli uccelli faranno ritorno.

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