Politica

Dove c’era la Fiat crescerà una giungla

Inchiesta sul futuro di Torino

di Redazione

Vito e Caterina presto non saranno più colleghi. Lui ha 40 anni, single e operaio Fiat da 800 euro al mese (ma con la cassa integrazione diventeranno 500, come la rata mensile del mutuo ventennale per la casa). Caterina è addetta all?assemblaggio della Panda (modello che chiuderà nel 2003), è sposata con un altro operaio Fiat (comparto Marea, modello che presto si produrrà solo in Turchia) e ha una figlia di 22 anni che studiava a Firenze (i fondi per pagarle l?università sono esauriti). Ora Vito e Caterina hanno due strade davanti. O diventeranno due belve della giungla pronte ad azzannarsi per assicurarsi un padrone, disposto a offrire loro un contratto atipico e un tozzo di pane. Oppure abbandoneranno il Piemonte nella disperata ricerca di un?occupazione, che probabilmente nessuno gli darà mai. In attesa di scoprire se sarà giungla o casa degli spettri, Torino sta diventando una città sempre più povera. Come testimonia la ricerca delle Acli Scoprirsi senza. Torino: sguardi sulla povertà in una provincia del benessere (ed. Gruppo Abele, pp. 160, euro 8) Alla fine degli anni 70, due abitanti su tre lavoravano però nell?industria metalmeccanica. A gennaio del 2002, la Fiat non supera i 25mila addetti, con una perdita di più di 8mila posti di lavoro negli ultimi 5 anni. Ormai i contratti a tempo indeterminato in Fiat sono merce rara, mentre i collaboratori superano di poco la soglia dei 10mila euro di reddito annuo. Girando all?ombra della Mole la povertà si tocca con mano. La Caritas locale ormai distribuisce la ?borsa della spesa?(beni di prima assistenza messi a disposizione gratuitamente) a oltre 30mila famiglie. «Conosciamo bene la povertà acuta, quella dei 1.500 senza fissa dimora e disabili gravi che vagano per la città da sempre», spiega Pierluigi Dovis, direttore della Caritas di Torino. «Poco o nulla invece traspare della povertà ?grigia?. Si tratta di singoli o di nuclei familiari che oggi vivono in una situazione economica di sufficienza, ma che possono passare a uno stato di insufficienza permanente a seguito di un solo episodio di emergenza». Come Vito e Caterina. Luciano Gallino, sociologo dell?università di Torino, parla di un «fenomeno nuovo rappresentato dai lavoratori poveri. Cioè coloro che hanno un lavoro, anche relativamente stabile, ma non guadagnano quanto occorre per riuscire a stare al di sopra del livello della povertà relativa. Il lavoro normale consente di progettare una vita, i lavori spezzati non lo permettono». Nella Torino post fordista precarietà e normalità suonano allo stesso modo. Monica Pecchio, della cooperativa Parella, ha paura: «Ci sono nuove fragilità che riguardano il cittadino di media estrazione. Il lavoro precario tocca anche gli italiani. Il margine fra la vita normale e la vita di strada è labile. Lavorare con queste persone mi porta a pensare che anch?io potrei finire nella loro condizione». Il lavoro interinale, quello della giungla, fa fuori i più deboli. La Torino che sta assistendo al tramonto della più importante industria italiana è anche una città vecchia (la popolazione over 75 nei quartieri storici delle Vallette, Falchera e Mirafiori è salita negli anni 90 abbondantemente oltre il 30%), ma soprattutto sola (dal 1981 al 2000 i single sono cresciuti del 69%). E poi non ci sono solo Vito e Caterina. Ci sono anche quelli dell?indotto. «Hanno un bel dire che la Fiat pesa solo per il 30% sul loro fatturato », attacca Emanuele Rebuffini, curatore del dossier Acli. «Quante aziende si possono permettere di ridimensionarsi di un terzo? Nessuna. E poi c?è tutto l?indotto di secondo grado. Trasportatori, pulitori, meccanici e molte altre persone che perderanno l?impiego». Quanti sono? Prova a rispondere ancora Rebuffini: «La provincia parla di 15mila persone, i sindacati ribattono 40mila, in realtà nessuno lo sa».


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