Famiglia
Dopo vent’anni dei migranti son stufo
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Sono cresciuti i figli dei migranti, quelli con cui si chiudeva Io venditore di elefanti, scritto nel 1990 da Pap Khouma con Oreste Pivetta: «Oggi quei bambini scrivono, sanno l?italiano meglio di noi. Forse esprimono una visione diversa dalla nostra, ma bisogna vedere caso per caso», commenta lo scrittore senegalese. Nel 2005 Pap, che può essere definito il primo degli scrittori migranti, ha pubblicato Nonno dio e gli spiriti danzanti, dove il tema del ritorno è centrale.
Vita: Perché?
Pap Khouma: Non volevo sottolineare questo tema. Desideravo non scrivere un altro libro sull?immigrazione che, nei racconti e nelle poesie che scrivo, è sempre molto presente. Volevo parlare di Africa, di donne africane. Ma i romanzi vivono di vita propria e prendono strade autonome: l?autore inventa ma fino a un certo punto. Alla fine va a pescare nel suo vissuto esperienze e ricordi. Non pretendo di scrivere qualcosa di originale. E se c?è qualcosa di originale, beh mi sarà sfuggita?
Vita: Qual è il contributo dello scrittore migrante all?immaginario collettivo italiano?
Khouma: Ha la fortuna, o sfortuna, di avere due o tre culture. Può scegliere chi essere. Io stesso sono africano quando voglio, ma posso comportarmi da europeo quando non voglio essere africano. A volte in Senegal mi dicono «sei diventato italiano».
Vita: Quanto la letteratura può favorire l?interazione fra diverse culture?
Khouma: Non so quanto possa influire. Con la rivista El Ghibli mettiamo in rete scritti che ci giungono da molte parti d?Italia, con radici in molte parti del mondo. Forse serve a far vedere agli autoctoni, agli italiani, che abbiamo accettato i loro usi e costumi, abbiamo scelto di scrivere in italiano. Ma non dimentichiamo quel che si chiedeva Jean Paul Sartre: «Cosa può fare un libro davanti a un bambino che ha fame?».
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