Mondo
Dopo le fake news, la prossima minaccia saranno i “falsi testi”?
Le false notizie stanno evolvendo. Grazie ai sistemi di generazione automatica di testi potrebbe presto essere difficile distinguere un testo prodotto da un sistema di Intelligenza Artificiale e un testo scritto da un essere umano. Anche se lo scenario in cui tutto questo può avverarsi sembra distante, dobbiamo interrogarci fin da a adesso sull'attacco alle reti di fiducia, vero terreno che permette la circolazione epidemica dei fake
di Marco Dotti
Un generatore automatico di testi talmente performante da destare inquietudine nei suoi programmatori. GPT-2 è un programma di AI che, per ora, rimane «riservato». «Too dangerous to release», dichiarano gli sviluppatori della statunitense OpenAI. Troppe le potenziali implicazioni negative per GPT-2, un sistema – si legge sul sito dell'azienda – «addestrato con un semplice obiettivo: prevedere la parola successiva, date tutte le parole precedenti all'interno di un testo».
Lo scenario, ancorché apocalittico, non è privo di fondamenti. Alexandre Alaphilippe, un esperto di fake news della ONG EU DisinfoLab, intervistato dal periodico francese Atlantico, lo spiega così: ci troveremmo davanti a una situazione nuova, che si sovrapporrebbe a quella delle fake news, creando un mix di testi autogenerati e voci dotate di autorevolezza che si ritroverebbero a dire e scrivere cose che, nella realtà, non hanno mai detto né scritto. Stiamo dunque per assistere a un salto di livello?
Nulla è certo, osserva Alaphilippe, tranne che «dietro questo scenario c'è la questione di come classificare i contenuti pubblicati online. L'evoluzione delle tecnologie di AI solleva la questione della possibilità di identificare il contenuto artificiale da quello umano. Importante è iniziare subito, per non trovarci impreparati»
Oggi è relativamente semplice identificare uno testo generato da GPT-2, ma la sua tecnologia sta evolvendo e nessuno sa quale sarà il punto di svolta oltre il quale non sarà più possibile fare distinzione tra uomini e macchine.
I risultati dell'indagine, condotta per conto del Centre for International Governance Innovation (CIGI) rivela che 4 cittadini su 5 di tutto il mondo online ritengono di essere stati esposti a notizie false, mentre 9 su 10 riferiscono di avere, almeno inizialmente, creduto che la notizia falsa fosse vera.
I risultati suggeriscono che la disinformazione sta penetrando sempre più nel tessuto dei social media, in particolare su Facebook, dove due terzi dei 25mila soggetti intervistati dichiara di essersi imbattuto in notizie false. Altre fonti di fake news sono i siti web (60%), YouTube (56%) e la televisione (51%).
La stragrande maggioranza pensa che le notizie false siano aggravate da Internet (87%) e che abbiano un impatto negativo sui discorsi politici del proprio paese (83%).
Non sorprende quindi che la maggior parte dei cittadini globali abbia adottato contromisure volte a frenare le notizie false, in particolare quelle che coinvolgono i social media, con ben oltre 4 su 5 che sostengono che debbano essere bloccati i social e i servizi di video sharing che le diffondono. Resta il tema dell'educazione digitale: l'87% è anche a favore di una migliore educazione degli utenti, che dovrebbero imparare come identificare le notizie false. Resta però un problema di fondo: che cos'è una fake news? Questo è il problema principale evidenziato dallo studio.
Uno studio che, spiega Alaphilippe, conferma quanto teorizzato dalla scuola di Palo Alto nei primi anni '60 sulla teoria della comunicazione, ma pone una questione davvero cruciale: la fiducia.
«Il vero problema, oggi, è la sfiducia dei cittadini nei confronti della politica e dei media. È su questo terreno fertile che può avvenire la diffusione di fake news. Ed è proprio questa ricerca di una rinnovata vicinanza e di una rinnovata fiducia che deve essere al centro delle politiche di lotta contro le voci e le manipolazioni pubbliche.
Questa crisi di sfiducia, conclude, è «però accompagnata anche da un vero e proprio tentativo, da parte dei media, di comprendere il proprio funzionamento. Stiamo assistendo a un ritorno alle indagini e a un reale sviluppo del controllo dei fatti. Si tratta di un passo nella giusta direzione, ma la lotta contro la disinformazione è tutt'altro che finita».
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