Volontariato

Dopo le elezioni, ripartiamo dallo sconfiggere i nostri mostri

di Pasquale Pugliese

Come sarebbero andate le elezioni politiche del 4 marzo potevamo prevederlo ampiamente se solo avessimo letto con serietà e attenzione il Rapporto sulla situazione sociale del Paese, reso noto dal Censis, il 4 gennaio scorso. Quel rapporto che dimostra come, nonostante una certa ripresa economica, la vera crescita sia quella del rancore – non come odio sociale delle classi oppresse nei confronti delle classi dominanti – ma come paura e rancore dei penultimi nei confronti degli ultimi della scala sociale. L’87,3% degli appartenenti al ceto popolare non vede nessuna possibilità di futuro e si sente insediato dall’immigrazione, con percentuali sempre più alte man mano che si scende nel livello sociale e culturale. Che è tutto dire nel Paese penultimo in Europa per numero di laureati (25,6%), nel quale predomina il sentimento di paura e di ostilità nei confronti delle differenze (il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di religione islamica, il 42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato). Inoltre, non solo l’84% dei cittadini non ha fiducia nei partiti, ma tra il 70 e l’80% degli italiani non ha fiducia neanche nelle istituzioni democratiche: governo, parlamento, enti locali. E il 64% di essi ritiene che “la voce del cittadino non conti nulla”. Insomma un panorama di desolazione culturale, di frammentazione sociale e di sfiducia democratica che avrebbe potuto avere due esiti elettorali: un’astensione di massa o una vittoria dei partiti che spacciano i propri prodotti politici sul mercato dalla paura e dal rancore. E così è stato.

In coerenza con questo esito, a segnare tragicamente queste elezioni è l’omicidio di Idy Diene del 5 marzo a Firenze, la cui vicenda è esemplare dello stato attuale del nostro Paese. Assassinato a sangue freddo e “senza motivo” da un italiano armato sul ponte Vespucci, Diene lascia vedova la moglie Rokhaya Kene. Già vedova di Samb Modou ucciso da un fascista nel 2011, insieme a Diop Mor. Perché neri, come l’altro marito di Rokhaya Kene. E come le vittime di Luca Traini nella caccia al “negro” dello scorso 3 febbraio a Macerata, come suo personale contributo – avvolto in una bandiera tricolore – alla campagna elettorale. Italiani armati che sparano a casaccio su persone di pelle nera, per ucciderle. E che ricevono anche l’omaggio nelle scritte sui muri nei bagni delle università, come accaduto nella biblioteca di Cà Foscari a Venezia e denunciato nella lettera aperta della studentessa Leaticia Ouedraogo: “vienimi a parlare prima di uccidermi, cosicché io ti possa abbracciare e ti possa mostrare un po’ di umanità”. Una caccia all’uomo alimentata e fomentata dai messaggi – diretti e indiretti – diffusi da anni dagli stessi soggetti politici che oggi hanno vinto le elezioni. Fondati sull’equazione immigrazione uguale insicurezza e criminalità. Falsa, oppure vera nel senso opposto: le persone più insicure in Italia sono profughi, migranti ed italiani di nuova generazione.

Eppure i dati del Ministero dell’interno – resi noti in anteprima da Milena Gabanelli sul Corriere della Sera – ci dicono che nel 2017, rispetto all’anno precedente, gli omicidi in Italia sono calati del 11,2%, le rapine del 8,7%, i furti del 7%. Dati non occasionali ma consolidati nel tempo, come scrive la Gabanelli: “tutti i partiti sanno che in Italia, la tendenza alla diminuzione dei reati con maggiore allarme sociale si è innescata ben quattro anni fa, ma hanno preferito ignorarla. I numeri sono significativi: al netto del calo della popolazione (0,34%), dal 2014 al 2017 gli omicidi sono scesi del 25,3%, i furti del 20,4% e le rapine del 23,4%. Quindi negli ultimi anni l’Italia è diventata via via più sicura, nonostante l’aumento del numero di immigrati”. E tuttavia, sono aumentate del 41,63% le richieste di licenze di porto d’armi a uso sportivo – le più facili da ottenere, come denuncia ripetutamente Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere – negli ultimi 4 anni. Un Paese disconnesso dalla realtà, ma connesso con la paura indotta, con i profitti dell’industria bellica e con gli imprenditori dell’odio.

Personalmente, non è casuale che non abbia mai preso una tessera di partito, mentre da 25 anni sono iscritto al Movimento Nonviolento. E’ perché penso che la politica partitica, che trova il suo momento culminante nelle elezioni, non possa che raccogliere ciò che è già stato seminato dalla politica culturale e da quella civile. L’avanzata straordinaria della destra unita (razzista, mafiosa e fascista), per esempio, non è che il frutto di un lustro di pedagogia della paura, dell’odio e del militarismo espresso da (quasi) tutti i canali in/formativi, diventato – ormai – senso comune. Seppure senza alcun fondamento di senso specifico. Tutto questo non è stato contrastato, se non in modo del tutto marginale, da narrazioni e – soprattutto – pratiche alternative altrettanto potenti e disseminate. Per cui i valori di uguaglianza, di convivenza, di solidarietà, di pace con mezzi pacifici, sono diventati residuali e patrimonio di esigue minoranze. Sostanzialmente corrispondenti ai voti che hanno raccolto nelle ultime elezioni le diverse formazioni della sinistra.

Per questo un vera ripartenza, dopo il disastro elettorale, non può che avvenire cominciando a praticare quel che Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento, ne “Il potere di tutti” (suo ultimo testo, elaborato nel 1968 e pubblicato postumo nel 1969) definiva il “potere senza governo”: “Di contro al pessimismo che soltanto con lo Stato si dominano gli uomini inguaribilmente e interamente egoisti e violenti facciamo valere il metodo di impostare un’adeguata articolazione della prima fase, quella del potere senza governo, premessa e garanzia che l’eventuale seconda fase sia un potere nuovo “conseguente” alla prima fase, di allargamento delle aperture, di addestramento alle tecniche della nonviolenza, di miglioramento della zona in cui si vive (perché da una periferia onesta, pulita, nonviolenta, avverrà la resurrezione del mondo), di lavoro educativo, di impostazione di continue solidarietà con altri nella rivoluzione permanente per la democrazia diretta, connessa intimamente con la nonviolenza.” Dopo, solo dopo, si potrà realizzare la seconda fase, quella del potere con il governo, esito di una vera vittoria elettorale. Perché anche civile e culturale. Ogni scorciatoia giocata esclusivamente sul piano partitico-elettorale è destinata ancora, ahimé, al fallimento.

Intanto, la prima azione di risposta all’esito delle elezioni politiche è stare vicino e dare coraggio ai nostri amici migranti, profughi e italiani senza cittadinanza. Tra i quali non ho mai sentito esprimere tanta paura dopo un voto, come questa volta. Anche tra i più giovani. Ripartiamo dall’empatia con le vere vittime della nostra ignoranza. Ripartiamo dal ri/costruire civiltà, sconfiggendo i mostri della paura e dell’ignoranza, come invita a fare la giovane Leaticia Ouedraogo al nazista dei bagni dell’università di Cà Foscari: “Non devi uccidere me, devi uccidere quel mostro oscuro che si nutre delle tue paure e della tua ignoranza, ma anche della tua ingenuità. Ti auguro sinceramente di sconfiggere questi mostri”. Un invito che vale per tutti.

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