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Dopo Idomeni il limbo infernale continua
A quasi un mese dallo sgombero del campo informale più grande d’Europa, migliaia di persone rimangono costrette a vivere in condizioni disumane e, nonostante le procedure di pre-registrazione per la richiesta d’asilo abbiano avuto inizio, per i 50mila profughi bloccati in Grecia, la strada per l'Europa sembra essere ancora troppo lunga
Sono quasi 50mila le persone bloccate in Grecia. Dopo la chiusura della frontiera con la Macedonia, le porte di quella rotta balcanica che per molti rappresentava l’ultimo tratto del viaggio lunghissimo che li avrebbe dovuti condurre ad un futuro di pace, si sono trasformate in un limbo infernale da cui uscire è difficilissimo. E’ iniziato dieci giorni fa sulla terraferma il programma di pre-registrazioni, avviato congiuntamente dal Servizio di Asilo greco, UNHCR e EASO, l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’asilo.
Sei hub di pre-registrazione e uno staff di 260 operatori che lavorano sei giorni a settimana, con il compito di censire chi è rimasto in Grecia, rilasciando una carta d’identità provvisoria che attesta così lo stato di richiedente protezione internazionale e il diritto di risiedere temporaneamente nel Paese, oltre anche all’accesso ai servizi di base. Ad avere diritto al procedimento le persone che sono entrate in Grecia dal 1 gennaio 2015 al 20 marzo 2016, sostanzialmente fino all’entrata in vigore del controverso accordo tra Europa e Turchia.
E se, dalle dichiarazioni congiunte del Servizio di Asilo greco, UNHCR e EASO, il programma di pre-registrazione intende essere anche un modo per “mappare i bisogni specifici delle singole persone, così da facilitare l’accesso all’assistenza”, le incognite rimangono moltissime, a partire dalle possibilità che si prospettano a chi è bloccato nel Paese. Tre le richieste possibili: fare domanda di asilo in Grecia (secondo il trattato di Dublino), chiedere il ricollocamento in un altro Paese europeo (opzione aperta solo a siriani e iracheni) oppure il ricongiungimento famigliare, l’opzione più ambita da molti, vista la complicata situazione economica in Grecia e la difficoltà ad accedere al programma di ricollocamento, dove non si ha il controllo sulla scelta della destinazione e i posti sono limitatissimi (a maggio erano state ricollocate appena 600 persone).
Estrema criticità anche nelle tempistiche del procedimento. Se infatti la pre-registrazione dovrebbe durare “solo” qualche mese, non sono chiari i tempi di svolgimento delle pratiche e delle risposte, che potrebbero superare anche l’anno. “Questa crisi prolungata provocata dalle politiche e il limbo che ne deriva, stanno avendo situazioni devastanti sulla salute fisica e mentale delle persone,” ha dichiarato Loic Jaeger, a capo della missione di MSF in Grecia. “Trasferire le persone in altri campi non è una soluzione, perché così non si riesce a rispondere ai bisogni medici nè di protezione. I ricollocamenti, i ricongiungimenti famigliari e le domande di asilo devono essere velocizzate e, mentre questo avviene, le persone dovrebbero avere la possibilità di vivere in condizioni adeguate.”
Proprio in risposta all’eclissi dell’Europa nella crisi migranti, venerdì scorso, MSF aveva annunciato la decisione di rinunciare ai fondi della Comunità Europea e dei suoi stati membri.
Oltre al senso di incertezza, infatti, a rendere ancora più drammatica l’attesa, le condizioni dei campi in cui molte persone sono costrette a vivere. Se fino al mese scorso infatti sulla terraferma i campi ufficiali, gestiti dall’esercito greco, insieme a UNHCR erano 34, tre settimane fa, dopo la chiusura di Idomeni, il più grande campo profughi informale d’ Europa, altri 9 campi sono stati istituiti nella zona industriale di Salonicco, trasformando capannoni industriali dismessi in campi assolutamente inadatti, come ci ha raccontato Gabriele Casini di Save the Children: “In molti di questi luoghi non c’è l’accesso all’acqua, l'aria è irrespirabile e non ci sono nemmeno le condizioni di sicurezza minime per i bambini, basta pensare che, ancora oggi, ci sono diversi pozzi aperti.” I bambini rappresentano circa il 40% delle persone bloccate in Grecia e, secondo quanto dichiarato dal governo, a settembre anche loro dovranno iniziare ad andare a scuola. “Inserire i bambini rifugiati nei programmi scolastici sarà fondamentale per il loro sviluppo cognitivo, la guerra ha costretto molti di loro a smettere di andare a scuola, altri non hanno nemmeno mai iniziato,” spiega Casini. “Bisogna vedere però se la Grecia sarà in grado di assicurare l’accesso all’istruzione per tutti questi bambini, a settembre, per ora sembra esserci un deficit enorme di insegnanti.”
Se le tende sono state spazzate via, restituendo i campi al confine con la Macedonia, agli agricoltori, a tre settimane dalla chiusura di Idomeni, invece le ruspe delle autorità greche non sembrano essere riuscite a cancellare la vergogna dell’inadeguatezza europea.
Foto: YANNIS KOLESIDIS/AFP/Getty Images
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