Politica

Dopo Fiorito, per favore, derubrichiamo la legalità come valore

di Riccardo Bonacina

Ci voleva un comico, Maurizio Crozza, per dare evidenza ad uno dei disastri culturali ed antropologici degli ultimi decenni. Prendendo spunto da un’affermazione di Franco Fiorito, ex capogruppo Pdl nel Consiglio regionale del Lazio, “tutto quel che ho fatto era legale”, Crozza ha chiosato, “vero, verissimo, proprio così”, e ha inanellato una lunga teoria di cosa è legale in questo Paese. È legale che gli stipendi degli italiani siano fermi al potere di acquisto degli anni Cinquanta, è legale che quelli dei Consiglieri regionali siano aumentati del 100% negli ultimi anni, sono legali i vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali, è legale che Nicole Minetti percepisca un compenso superiore a quello di un alto dirigente Onu, sono legali i quasi 50miliardi di costo del carrozzone politico che fa vivere 1,5 mln di addetti tra personale diretto, consulenti, consiglieri di amministrazione, sperperando in maniera parassitaria due punti di un già magro Pil.

E, possiamo continuare noi, sono legali i ticket ai disabili, sono legali le tasse che succhiano, quelli che da sempre pagano, oltre il 50% del reddito, sono legali i fantasmagorici concorsi per l’immissione di pochi precari nella scuola, così come i buffoneschi test del TFA o per l’accesso alle Università. Sono legali i tagli ai trasferimenti statali per i servizi sociali nei comuni (il Fondo sociale che ammontava a più di un miliardo nel 2008 ridotto quest’anno a 15 milioni che i comuni hanno giustamente rifiutato), sarà legale dal 3 dicembre distribuire di default App sui telefonini per il gioco d’azzardo tanto per rubarci altri soldi e un altro po’ d’anima persino ai minori. Sono legali, insomma, una miriade di non più sostenibili ingiustizie e di arbitri non più giustificabili. 
Questa lunga teoria di esempi di come la legalità sia alla fine il terreno entro cui si istituzionalizzano delle vere proprie ruberie, truffe e ingiustizie potrebbe continuare a lungo e potrete compilarla di vostro pugno.

Eppure, per almeno un ventennio la legalità è stato il valore primo e più propagandato da centinaia di apostoli, dentro le scuole, le istituzioni, sui giornali, da preti, politici, magistrati, giornalisti, associazioni. Come se proprio la legalità fosse l’auspicabile punto di ripartenza; nulla di più sbagliato e astratto. Nessuno per anni che parlasse più di giustizia nell’arena pubblica, nessuno più che coltivasse questo che è uno dei desideri più autenticamente umani, nessuno che spiegasse che alla fine la legalità può essere solo la norma che garantisce impunità a truffatori e ladri una volta che conquistino il potere, giacché le leggi le fanno loro. Nessuno che spiegasse più cosa sia la legittimità, cosa sia legittimo e cosa no, e cosa sia bene e cosa no, nessuno che riuscisse ad uscire dal triste mantra del rispetto delle regole. “Tutti i regni umani non sono che grandi associazioni a delinquere, una volta rinunciato alla giustizia. I regni e gli Stati essendo più potenti hanno solo la garanzia dell’impunità”, ammoniva un grande come Agostino d’Ippona.

Vedete, ora che vien giù tutto (persino chi è deputato a riscuotere con ferocia le tasse ruba, vedi il caso ligure di Tributi Italia spa) e che ci risulta più chiaro come le regole che i potenti si autoproducono siano solo un modo per essere “diversamente ladri”, definizione acutamente trovata da Franco Bomprezzi, dovremmo pur capire come questo sia un Paese che ormai soffoca sotto una montagna di leggi, decreti e regolamenti (europei, statali, regionali e giù giù) che non solo non alimentano equità né tantomeno giustizia ma producono solo una burocrazia che avvita su se stessa e sulle procedure e perciò non può che generare corruzione.

Come ha scritto Antonio Pascale, nel suo bell’articolo su Il Corriere della sera il 1 ottobre,  ricorda il suo primo giorno in servizio al Ministero e la lezione di un vecchio dirigente (qui il link all’articolo). “Sarei stato un civil servant, con questa ambizione entrai al Ministero. Ma, dopo aver letto le prime leggi e circolari, sarà stato per le subordinate che si inseguivano senza tregua, per i rimandi snervanti, per una serie di punti numerati con A) a) A1 aa1 e via dicendo, io pensai che solo una mente alienata potesse aver prodotto quel documento. Così andai dal vecchio direttore e balbettando dissi: non ho capito niente. E lui rispose con un mezzo sorriso: bene, allora è perfetta! Ne parlai con i colleghi e alla fine, chi più chi meno, scoprii, tutti avevano letto una circolare simile. Nel lontano 1989, quella fu una piccola lezione. Le leggi non devono mai essere chiare, perché se lo sono, con la chiarezza forniamo potere a chi legge”.

Già proprio così. Ricominciamo a coltivare il desiderio di giustizia? Di giustizia sociale? Anche di questo scriveremo sul numero di VITA in edicola venerdì.

La nostra salvezza e il nostro futuro non saranno mai un prodotto delle leggi (che anzi dovremo sfoltire e cambiare), la consistenza del nostro futuro dipenderà solo noi, dalle iniziative che sapremo mettere in campo, condividendo bisogni, mutualizzando le risposte, organizzando insieme le nostre speranze e combattendo ogni giorno per un po’ più di giustizia. Coraggio, non stiamo a guardare e non affidiamo la nostra vita e le nostre speranze né al politico di turno né ad una nuova legge. Non ne abbiamo già viste troppe?

 

 

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