Politica

Dopo di Noi e impresa sociale, quello che non capiscono i 5 Stelle

Il dibattito sulla riforma approvata ieri alla Camera riproduce lo stesso schema distorto che il Movimento 5 Stelle ormai da un anno sta applicando anche alla delega sul Terzo settore. Pubblico non significa statale e privato non significa profitto. Lo capiranno mai Grillo, Casaleggio e compagnia?

di Redazione

FEBBRAIO 2016, LEGGE SUL “DOPO DI NOI”
Giulia di Vita (Movimento 5 Stelle): «Se tutti, Pd per primo, riconosciamo che il servizio pubblico non è sufficiente, non possiamo come legislatori destinare quei pochi soldi di investimento per invogliare l'iniziativa privata. È un controsenso, è questo che ci dà fastidio».

Matteo Dell’Osso (Movimento 5 Stelle): «Questo testo – spiega – sa un po' di truffa perché questa cosa del 'dopo di noi' esiste già nell'ordinamento giuridico italiano. Solo che con questa legge loro vogliono demandare il 'dopo di noi' a una specie di trust, a un fondo fiduciario. Noi però non ci fidiamo di questa gente».

MARZO 2015, LEGGE DI RIFORMA DELL’IMPRESA SOCIALE
Nota ufficiale del Movimento 5 Stelle: «Riteniamo che la possibilità di distribuire utili rappresenti non un’evoluzione, ma uno stravolgimento del modello italiano di Terzo Settore: il non profit diventerà solo un ricordo e gli obiettivi primari delle imprese sociali saranno business e profitto, senza che siano stati posti freni alle potenziali operazioni speculative delle imprese sociali. Inoltre, temiamo che questo modello possa causare l'aumento dei costi dei servizi sanitari, il quale a sua volta potrebbe determinare una contrazione dell'offerta verso i cittadini».

I grillini sono stati l’unico gruppo parlamentare a votare contro la legge sul dopo di Noi, licenziata ieri dalla Camera, così come si stanno dimostrando la forza parlamentare più ostinatamente avversa all’approvazione della legge delega di riforma del terzo settore, impresa sociale e servizio civile. Nel primo caso, come ha tempestivamente notato la capogruppo Pd in Commissione Affari sociali alla Camera, Donata Lenzi «si tratta di una legge proposta dalle associazioni delle famiglie di disabili gravi, un provvedimento che non tocca nulla dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e le risorse messe, 90 milioni, sono aggiuntive a quelle già esistenti e al fondo per la non autosufficienza». Nel secondo, oggi che la riforma naviga nelle secche del dibattito più o meno pretestuoso delle coperture finanziare, è lo stesso portavoce del Forum del Terzo settore, Pietro Barbieri che chiede a gran voce che «a questo punto vorremo che la Riforma tornasse ad essere una priorità per il Governo e per il Parlamento, e auspichiamo che non ci siano più scuse per far ripartire, senza ulteriori indugi, la discussione in Senato».

In entrambi i casi, quindi, norma che interessano e valorizzano le forze sociali più vivaci di questo Paese e le loro istanze scoprono nel Movimento di Grillo e Casaleggio un nemico sorprendente.

Sorprendente per almeno due ragioni. La prima. Pensiamo soprattutto all’azzardo e in una certa misura anche al dibattito intorno al contrasto alle povertà acute. I grillini dimostrano di avere un’agenda attenta ai temi sociali. La seconda. Come da queste stesse colonne notammo fin subito dopo il loro ingresso in Parlamento, i curricula di molti esponenti grillini (la stessa Di Vita, per esempio) sono caratterizzati da esperienze associative significative.

Dove sta dunque il nodo? Forse in un grande fraintendimento da cui i grillini (non solo loro a dire il vero, ma soprattutto loro, considerati i numeri parlamentari) non paiono riuscire a liberarsi: ovvero che statale/pubblico, profitto/utile e privato/profit siano tre coppie di sinonimi.

Forse vale la pena allora affidare all’economista Stefano Zamagni il compito di provare a dimostrare agli amici pentastellati che nell’era della modernità liquida di Zygmunt Bauman quelle lenti novecentesche rischiano di allontanarli dalla società reale a cui loro stessi si appellano di continuo. Sostiene Zamagni: «L’economia civile non contrappone Stato e mercato o mercato e società civile, cioè non prevede codici differenti di azione, ma in linea con la Dottrina sociale della Chiesa punta a unirli. Inoltre teorizza che anche nella normale attività di impresa vi debba essere spazio per concetti come reciprocità, rispetto della persona, simpatia. Oggi invece si ritiene ancora che l’impresa possa operare nel mercato come meglio crede, o non rispettare in pieno la dignità dei lavoratori, e poi magari fare della filantropia oppure concedere in cambio il nido per i figli dei dipendenti. Ecco, non dovrebbe funzionare così. Un altro aspetto riguarda la società civile organizzata – cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, fondazioni – che non viene confinata al ruolo di soggetto incaricato di ridistribuire il sovrappiù, come in altri sistemi economici, ma è valorizzata come soggetto economico vero e proprio, messa al lavoro». Cari grillini, è ora di voltare pagina. O almeno di porsi quale dubbio, no?

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