Non profit

Dopo di noi cosa sara’ dei nostri figli disabili ?

Ma un’alternativa ai costosi istituti privati comincia a esistere.

di Antonella Galli

Dopo di noi? Una domanda secca, tre brevi parole che descrivono perfettamente l?angoscia che attanaglia i genitori e i fratelli dei ragazzi disabili intellettivi, psichici e psicofisici. È la domanda, drammatica e insistente, che queste famiglie si pongono in ogni attimo della loro vita. «Che cosa succederà dopo di noi, quando noi non ci saremo più, ai nostri ragazzi? Chi si prenderà cura di loro, chi penserà al loro futuro?». Una Fondazione per gli orfani A chiederselo è Rosina Zandano, vice presidente della Fondazione nazionale Anffas ?Dopo di noi?, nata nel 1984 per volontà appunto dell?Associazione nazionale famiglie fanciulli adulti subnormali con lo scopo preciso di garantire cura, tutela e assistenza ai disabili orfani o con genitori anziani. «Proprio in queste settimane», aggiunge Bruna Viapiana, segretario nazionale dell?Anffas, «le cronache dei giornali hanno riportato d?attualità questo tema. Perché ciò avvenisse, però, abbiamo avuto bisogno che a Lecce, a fine aprile, una persona si uccidesse per l?angoscia di non riuscire più a provvedere alla sorella cerebrolesa, di non trovare più i soldi necessari a pagare la retta dell?istituto che l?accoglieva. Certo, questo è un episodio crudele, inaccettabile. Trascorso un mese ed esaurito il clamore suscitato da questa vicenda, però, nessuno ne parla più, nessuno si occupa concretamente del problema. Eppure per tante famiglie il problema del ?dopo di noi? continua a esistere in tutta la sua drammaticità». Oggi, per le persone disabili, le prospettive di godere di una vita più lunga sono notevolmente aumentate rispetto al passato. Inoltre, pur con le dovute eccezioni, è anche più facile inserirsi nella società, conquistare una certa autonomia, provare a costruirsi una vita che possa essere ricca e soddisfacente. Quando queste persone restano sole, però, quando la famiglia non può più garantire loro l?affetto e una casa, l?impegno, gli sforzi e i sacrifici rischiano di essere vanificati. Per molti disabili, infatti, l?unica reale alternativa alla famiglia sono gli istituti e le case di cura. Strutture enormi, che accolgono centinaia di pazienti, dov?è praticamente impossibile ricostituire il clima di una casa e, soprattutto, rimanere legati al mondo esterno, non perdere l?identità e la dignità. «In passato», continua Rosina Zandano, «quando i genitori non potevano più occuparsene, i disabili intellettivi venivano ricoverati in manicomio. Dopo che la legge Basaglia ha sancito la chiusura di questi istituti, però, non sono state create abbastanza strutture idonee ad accogliere i ragazzi. In pratica, l?unica possibilità che lo Stato offre a noi genitori è ricoverare i nostri figli in ospedale, insieme a tutti gli altri pazienti. Oppure, di appoggiarci a strutture private, come quelle che ha creato l?Anffas, per esempio. La nostra Fondazione si è attivata su due fronti: fornire alle famiglie tutte le informazioni sugli atti legali da compiere mentre si è ancora in vita (interdizione, ricerca del tutore, disposizioni testamentarie, reversibilità delle pensioni dei genitori, eccetera) e, soprattutto, costruire comunità alloggio dove accogliere gli orfani. Case, appartamenti, cascine, villette, dove i ragazzi, in gruppi di otto-dieci persone al massimo, ritrovino il calore dell?ambiente familiare, la possibilità di continuare un?esistenza normale, evitando di vivere, oltre al trauma del distacco dai genitori, anche il trauma di ambienti ospedalieri troppo diversi da quelli che hanno dovuto lasciare». Proprio su queste strutture private sembra soprattutto far conto lo Stato, stipulando, attraverso gli enti pubblici (Regione, Comune, Asl) convenzioni che permettano alle famiglie di pagare la retta. Ma non tutte le Regioni si trovano nella stessa condizione. Al Centro e al Sud, infatti, molte ammini strazioni regionali non hanno legiferato sul tema socio-assistenziale e mancano quindi i finanziamenti per costruire queste comunità alloggio. «Il nostro obiettivo», sottolinea Rosina Zandano, «è far sì che in tutte le Regioni entri davvero in vigore, con le necessarie correzioni, la legge nazionale sull?handicap (la legge quadro 104, ndr), per evitare che perduri l?incertezza e si diano invece indicazioni precise. La cosa più urgente, infatti, è costruire le comunità alloggio; poi, bisogna permettere a tutti, anche a chi non ha grosse possibilità economiche, di poterne usufruire». E sulla necessità di preparare un futuro sereno e tranquillo per i ragazzi disabili, senza accontentarsi di parcheggiarli in qualche istituto, concorda anche Salvatore Nocera, vice presidente nazionale della Fish, la Federazione italiana soggetti handicappati: «Con l?istituto dell?interdizione il nostro codice civile tende a tutelare il patrimonio delle persone disabili, ma nulla o quasi prevede per garantire loro una buona qualità di vita affettiva e relazionale. In pratica il tutore, più che un sostituto dei genitori, è un oculato manager». La Fish: una legge per cambiare «Per questo la Fish», continua Nocera, «nella proposta di legge che ha preparato per ottenere modifiche legislative che siano più attente alla qualità della vita delle persone con handicap fisici e psichici, ha introdotto anche la figura dell?amministratore di sostegno. Il nostro scopo è trovare una soluzione per i due problemi che più affliggono i genitori che pensano al futuro dei loro figli: garantire loro la sicurezza economica e, cosa non meno importante, quella affettiva e relazionale con l?ambiente dove hanno vissuto insieme alla famiglia. Con la nostra proposta (presentata nel 1997, subito ricongiunta a un disegno di legge governativo sulla stessa materia e ora in discussione generale, per quanto riguarda alcuni punti, alla Commissione governativa della Camera) vorremmo garantire proprio questo benessere esistenziale. In alcuni casi», conclude Nocera, «l?interdizione è uno strumento troppo grave. Con il ruolo dell?amministratore di sostegno, invece, si potrebbero studiare, volta a volta, soluzioni più personalizzate, lasciando maggior autonomia ai ragazzi ed evitando loro la drammatica emarginazione degli istituti speciali». ?


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