Economia

DONO. Non pensiate che sia un regalo…

di Luigino Bruni

Con la parola “Dono” che i lettori trovano questa settimana e la prossima, si conclude l’ABCDEconomia di Luigino Bruni. È stata pensata come una guida alle parole chiave dell’agire economico, dopo la caduta dei miti e lo sgonfiarsi delle bolle. Ecco l’indice delle parole analizzate: Felicità, Profitto, Mercato, Banca, Investimento, Responsabilità, Regole, Interesse, Organizzazione, Reciprocità, Capitale. Questa settimana, come detto, la prima puntata della parola conclusiva «Dono».

Esiste una stretta relazione tra comunità, vita in comune, e dono. Una etimologia della parola comunità fa derivare communitas dal cum-munus, cioè dal dono (munus) reciproco. Ma questa stessa suggestiva etimologia ci rivela immediatamente anche l’ambivalenza del dono, nascosta nella parola latina munus. Munus è insieme dono e obbligo, una ambivalenza ancora rintracciabile nella parola anglosassone gift, che significa in inglese “dono” e in tedesco “veleno”: la odorosa e colorata mela del dono può anche rivelarsi un frutto avvelenato. Perché? Innanzitutto perché i doni sono molti, e le forme della donazione sono molteplici. C’è il dono anonimo e unilaterale del filantropo o delle donazioni a vantaggio di persone bisognose distanti o per calamità naturali. C’è il dono personale a chi amiamo, che può essere dono di cose ma anche, e soprattutto, di tempo, di attenzione, di ascolto, di vita. C’è poi il dono convenzionale che spesso raccoglie l’eco di antiche tradizioni, come i doni agli sposi, o la bottiglia di vino quando si è ospiti a cena. Ma c’è anche il dono della tangente o al potente che non ha nulla a che fare con la gratuità.
La parola chiave che comunque più spiega la natura del dono è reciprocità, sulla quale abbiamo già scritto in questo nostro piccolo abbecedario. Gli esseri umani amano più del dono la reciprocità; o, meglio, amano il dono quando questo si compie all’interno di una grammatica relazionale dove si dà e si riceve. Noi desideriamo che il dono, perché sia buono, abbia una buona ragione. Il dono è un segnale di qualcosa di più profondo. Un giorno durante un volo aereo (low cost) mi proposi di offrire un panino ad un giovane (che non aveva moneta), e ricordo lo sguardo disturbato di costui che si chiedeva: «Ma che cosa vorrà questo signore? Perché mi offre questi 5 euro?». Il non accettare caramelle o doni dagli sconosciuti resta ancora un valido consiglio per bambini e giovani – a meno che non ci sia una buona ragione per farlo, come trovarsi in condizioni di emergenza, o di bisogno. E anche quando siamo nel bisogno, il dono che nel tempo non produce reciprocità, o che dà vita a reciprocità statiche e asimmetriche, finisce spesso per nascondere rapporti di potere, e desiderio di dominio sull’altro. Il dono-gratuità, che è l’esperienza che tutti associamo al bello e alla vita buona, richiede che ci si alterni nei ruoli di donatore e di donatario, e che chi riceve un dono si senta capace di reciprocità, e si trovi nelle condizioni di poter rispondere su un piano di sostanziale uguaglianza, soprattutto quando il meccanismo del dono accade al di fuori della famiglia, e quando si ha a che fare con adulti (anche se sono convinto che il dono-reciprocità è esperienza fondamentale e fondativa anche per giovani e bambini).
Il dono spezza l’equilibrio dei rapporti sociali, poiché crea un’asimmetria che l’essere umano, quello moderno in modo assoluto, non riesce a sostenere a lungo. Il dono non ricambiato è elemento di disequilibrio, di disordine. Le società umane – anche le arcaiche, anche se in modo diverso da quelle moderne – amano invece le simmetrie: ecco anche spiegata la grande potenza del mercato, basato su uno scambio simmetrico di valori equivalenti (o percepiti come tale). Settimana prossima cercheremo di capire in che senso dono non è necessariamente un regalo, né tantomeno il “gratis”.

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