Cultura

Doninelli, le storie più della storia

Recensione del libro "Tornavamo dal mare" di Luca Doninelli (di Sergio Segio).

di Redazione

Tornavamo dal mare, l?ultima fatica di Luca Doninelli, non è consigliato ai cultori dei luoghi comuni, dello ?statu quo? e delle verità ufficiali. Temo che ciò rischi di ridurre alquanto il numero dei possibili lettori, che tuttavia auspico saranno tanti, perché saranno ricompensati. Questo libro mi ha richiamato le stesse reazioni e sentimenti suscitati dal film Buongiorno notte di Marco Bellocchio. Entrambi sottolineano un?analoga esigenza: quella di ragionare sul passato, anche su un passato inviso e scomodo qual è quello degli anni 70, anzitutto restituendo spessore umano ai protagonisti, guardando più alle storie che alla Storia. Nel caso del libro, le storie principali sono quelle di Ester, con un passato nel movimento e un presente silenzioso, condiviso con Irene, una figlia insofferente, e di Fly, militante della lotta armata e vero padre di Irene, che dopo 17 anni di galera esce per motivi di salute. In tempo per morire, ancora prigioniero delle sue durezze e gabbie ideologiche, ma anche per ricevere un?ultima carezza di Ester. Tornavamo dal mare ci dice una cosa importante: che c?è un passato che non passa. E non passa anche e soprattutto perché non sappiamo rivolgergli uno sguardo compassionevole. Troppo spesso guardiamo a esso solo come fonte cui abbeverare le nostre ragioni e la persistenza dei nostri rancori. Ragioni sempre e ancora contrapposte, incapaci di porsi, sia pure per un attimo, dal punto di vista dell?altro. Lo dimostra appunto il fatto che, a distanza di cinque lustri, ci sia un buco nero (caso Moro a parte) dal punto di vista della pubblicistica, della letteratura e della filmografia. Una storia maledetta, che ancora non si riesce ad accogliere e superare. Tornavamo dal mare prova a farlo, pur scegliendo e scontando una chiave che propone una lettura di quegli anni attraverso i sentimenti e le vicende private di alcuni personaggi, senza che vi siano sufficienti elementi di contesto per comprendere da parte di chi non c?era per ragioni anagrafiche. Ma il deficit è nella memoria collettiva, la carenza semmai è degli storici e dei media. Il risultato è comunque un?operazione convincente e sdemonizzante, perché opera uno scarto deciso rispetto alle letture contrapposte, all?utilizzo politico e rancoroso della memoria come strumento per ripercorrere il passato e vivere il presente, all?incapacità di parlare di quegli anni senza reincanalare tutto in polverose dicotomie (partito della fermezza o partito della trattativa, perdonisti o inflessibili, eccetera). Sono gli unici anni che i giovani della nostra generazione hanno avuto a disposizione, ha giustamente osservato Luca Doninelli. Il suo libro è un contributo a riconciliarsi con loro.

Sergio Segio


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