L’esperienza del dono aiuta a crescere. Emotività e generosità sono variabili che fanno sempre la differenza. In particolar modo, in questo periodo dell’anno.
Sotto le feste, l’atto di donare assume aspetti più profondi di cui componente fondamentale è l’aspetto umano. Impossibile prescindere.
Chi fa il nostro lavoro lo sa bene. Il dono è un atto di responsabilità. Valutarne le implicazioni è utile. Lo dico da professionista ma, allo stesso tempo, da donatore. In quest’ultimo ruolo, cerco di capire le dinamiche che mi portano al dono. Da professionista, valuto con razionalità le dinamiche che portano al dono.
Tolte le vesti di donna del marketing sociale inserita in un contesto con una forte volontà di crescita, scelgo in tutta libertà a chi destinare il mio piccolo budget. A mio vantaggio gioca il poterlo fare con cognizione. Con qualche certezza in più sulla bontà della causa o, per lo meno, con qualche strumento in più per valutarne la bontà. E’ deformazione professionale. Ma, naturalmente, mi espongo alle perplessità di un qualsiasi altro donatore.
Mi è capitato più volte di sentirmi chiedere consiglio sulla destinazione del dono. Ho sempre ritenuto opportuno mantenere una certa neutralità su questo tema. Ma alcuni aspetti vale la pena tenerli ben presenti nelle proprie scelte. E’ una questione più di cultura che di appartenenza. Un giusto equilibrio tra cuore e testa.
IL CUORE
Fiducia nell’ente e motivazione personale sono le prime variabili che spingono al dono. Sono, per così dire, il cuore dell’atto di donazione. Ne abbiamo parlato diffusamente su queste pagine. Vale la pena ricordarle perché sono l’impulso all’azione e le leve sulle quali muovere per pianificare attività di fidelizzazione. Conditio sine qua non.
A questi due aspetti, di certo fondamentali, se ne accompagnano altri, per loro natura meno istintivi ma ugualmente importanti, almeno a mio modo di vedere, e che spingono verso una qualificazione della donazione in un atto maggiormente consapevole. E verso un donatore sempre più maturo.
LA TESTA
Un sostegno è più produttivo nel momento in cui è consapevole. E questo perché è maggiormente responsabile. Affiancare la testa al cuore è cosa buona se l’obiettivo del dono vuole essere produttivo e virtuoso. Efficacia, efficienza ed etica passano attraverso la verifica di possesso di questi tre requisiti:
– Organizzazione in buona salute finanziaria. Determinante per assicurarsi che i fondi vengano interamente destinati alle finalità statutarie e non, eventualmente, utilizzati a copertura di buchi di bilancio causati da una cattiva gestione.
– Trasparenza: l’accessibilità (on line o su richiesta) ai dati di bilancio da parte del donatore è un buon indice di responsabilità dell’ente.
– Tracciabilità dei risultati: oltre all’accesso di quanto raccolto e di quanto investito è importante conoscere il come, ovvero lo stato dell’arte dei progetti per i quali si è donato o sui quali l’ente è impegnato.
DARE SENZA VINCOLI
Ovvero, non vincolare – sempre e comunque – la donazione al progetto. Un ente ha progetti e priorità che possono variare al variare delle condizioni. Se esistono i requisiti di cui sopra, ovvero fiducia, motivazione, buona salute, trasparenza, tracciabilità – testa e cuore – significa che l’organizzazione è affidabile.
Un tacito accordo tra donatore e associazione.
L’esperienza del dono aiuta a crescere. Il donatore e il fundraiser. Mettersi in empatia è il modo migliore per capire lo stato delle cose e per cercare, di conseguenza, di agire al meglio, portando all’interno della propria quotidianità il valore dell’esperienza vissuta con altre vesti. Perché filantropia e ricerca del dono, lo sappiamo bene, sono due facce della stessa medaglia. Legate in modo indissolubile l’una all’altra.
Nessuno ti regala niente, noi sì
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