Non profit

Donatori, di soli progetti si muore

Jessica Sklair, direttrice di ricerca all'Institute for Philanthropy: «Le ong con le spese di struttura più elevate spesso sono anche le più efficienti»

di Rose Hackman

«L’innovazione, quella vera, arriva quando le non profit hanno la sicurezza di sviluppare il loro lavoro invece di dover correre dappertutto per trovare qualcuno per pagare la fotocopiatrice». Sembra logico. Eppure non lo è ancora per tanti nel mondo della filantropia. Lo dice Jessica Sklair, direttrice di ricerca all’Institute for Philanthropy di Londra: i donatori tendono sempre di più a finanziare i progetti stessi tralasciando i costi di struttura delle charities. «Differentemente a quello che pensa la gente, le non profit con costi amministrativi più bassi sono meno efficaci di quelle con costi più elevati», afferma Sklair. Per cambiare questa convinzione diffusa, l’Institute for Philanthropy ha pubblicato uno studio intitolato «Supportive to the core – Why unrestricted funding matters» («Solidale fino al nocciolo – Perché importa il finanziamento non restrittivo»).

Vita: Cosa vi ha spinto a pubblicare questo studio?
Jessica Sklair: C’è un mito costuito intorno al terzo settore: che i costi amministrativi elevati non siano una cosa “buona”. Vediamo le grandi non profit distribuire pamphlet con grafici a torta che dimostrano che il 95% delle donazioni va direttamente ai progetti. Questo è abbastanza controproducente per il terzo settore.
Vita: Perché?
Sklair: Promuove una cultura in cui i donatori non vogliono più sostenere il cuore di quello che le organizzazioni fanno veramente. Un’organizzazione non può più lanciare progetti senza avere gli elementi del “nocciolo” per permettere uno sviluppo di base. C’è uno studio, realizzato dalla Urban Institute and Indiana University negli Stati Uniti, in cui sono state analizzate le spese generali delle non profit: ebbene, le non profit con spese generali basse sono risultate meno efficaci di quelle con spese generali più alte.
Vita: Questo rappresenta un cambiamento nei modelli di filantropia generali?
Sklair: La venture philanthropy e altre forme di filantropia strategica sviluppatesi negli ultimi dieci anni di fatto costituiscono una critica delle forme più tradizionali di filantropia. Si tratta di un modello che va aldilà della contabilità. Filantropia in questo quadro significa dare capitale flessibile alle organizzazioni caritative ed è da qui che viene l’idea di “core support”.
Vita: In che senso?
Sklair: Si tratta di sviluppare una relazione che diventa una vera e propria partnership. Una partnership dove il filantropo si siede e dice: «Mi piace quello che state facendo, di cos’avete bisogno per farlo meglio o per continuare a farlo così bene?». Spesso le risposte che tornano indietro sono: «Abbiamo solo bisogno di finanziamento per coprire le attività della nostra sede». E se anche la risposta è «Abbiamo bisogno di finanziamento per un nostro progetto», si tratta in entrambi i casi di una forma di core support perché la non profit ha avuto il potere di dire quello di cui aveva più bisogno.
Vita: Però i donatori non vi seguono su questa strada…
Sklair: Una persona che vuole vedere il suo nome su un edificio avrà un certo approccio, invece un donatore strategico e impegnato che cerca un cambiamento radicato ne avrà un altro.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA