Non profit

Donatori, che rivoluzione

Chi dà cerca per sé un senso. Vuole fare un cammino di crescita e di sviluppo umano. Se non si coglie questa dinamica, si compromette un rapporto. E si penalizza anche il risultato economico

di Redazione

La raccolta fondi in Italia sta crescendo, e non soltanto in termini numerici. Man mano che la scelta di donare si fa sempre più diffusa ed abituale nella realtà italiana, diviene sempre più chiaro che un?enfasi esclusiva o anche soltanto eccessiva sui risultati quantitativi della raccolta finisce per produrre un ripiegamento sempre più strumentale sulla superficie dei comportamenti donativi, a danno delle loro motivazioni profonde che ne salvaguardano lo spirito e in ultima analisi la sostenibilità di lungo termine. In una realtà come quella italiana esiste sempre il pericolo di esaltare la dimensione pietistica del dare, con la conseguenza di legare la scelta donativa a una reazione impulsiva, e come tale non programmata. Se lo sforzo è quelo di far maturare una dimensione sempre più consapevole ed organizzata del dono, di far diventare cioè il dare un aspetto importante e ?presente? nella vita quotidiana di un numero sempre magggiore di persone, bisogna necessariamente confrontarsi con il significato del dare e del ricevere, occorre cioè far sì che le persone riflettano e si interroghino, anche se questo in un primo momento può non tradursi in un miglioramento del risultato quantitativo della raccolta. Come sanno bene i professionisti della persuasione, è relativamente facile manipolare le persone per spingerle a dare, facendo leva con astuzia su una serie di circostanze momentanee che toccano da vicino la loro sensibilità profonda. La lezione di Sen Ma cosa succede ?dopo?? Che tipo di bilancio le persone traggono da questo genere di esperienza? Come tutto questo modificherà la loro valutazione del senso del dono? Se l?obiettivo è quello di raccogliere a tutti i costi, è facile ricorrere a stratagemmi che producono risultati ma allo stesso tempo inducono le persone a sentirsi strumentalizzate e quindi a sviluppare atteggiamenti difensivi che richiederanno a loro volta sollecitazioni sempre più forti ed invasive per essere superati. La raccolta fondi deve rifuggire da circoli viziosi come questo, e deve piuttosto riuscire a trasmettere ai donatori il senso del dono come esperienza che contribuisce, spesso in modo decisivo, allo sviluppo umano di chi dona prima ancora di chi riceve. Il ben noto approccio delle capabilities di Amartya Sen, che costituisce oggi una delle pietre angolari delle più avanzate teorie dello sviluppo economico, non ha qualcosa da insegnarci soltanto sulle forme di povertà esperienziale che affliggono gli abitanti dei paesi in cui la speranza di vita resta ancorata a valori più tipici dell?età pre industriale che della nostra contemporaneità opulenta e tecnologica. Esso può essere un linguaggio che può spiegare con altrettanta forza ed efficacia le nuove forme di povertà esperienziale che affliggono chi, in una società come la nostra, pur vivendo nel benessere materiale avverte un preciso disagio che deriva dalla mancanza di senso, dalla difficoltà di dare al proprio tempo e alle proprie energie una direzione in cui riconoscersi e da cui trarre gioia e conforto. Donare può significare allora prima di tutto entrare in contatto con ambiti di esperienza nei quali chi dona può mettere in gioco aspetti della propria umanità che non si ricordava nemmeno più di possedere. Può diventare una chance decisiva per ripensare un?idea di benessere diventata troppo soffocante nella sua monodimensionalità. Quel capitale intangibile è questa la filosofia che sempre di più anima le attività formative della Fund Raising School. Nessuna ossessione aziendalistica per i risultati nella consapevolezza che i risultati sono una conseguenza dello sviluppo umano dei donatori come dei professionisti della raccolta, sono il riflesso della costruzione di un capitale intangibile di fiducia, appartenenza, identificazione in una buona causa che ci aiuta a capire il senso del nostro stare al mondo. In questi ultimi anni la Fund Raising School ha sperimentato un progressivo allargamento delle attività formative, dai corsi di base a temi ?classici? come quelli delle grandi donazioni o dei finanziamenti europei per il non profit, ai corsi monografici relativi ad aree di grande interesse come il socio-sanitario, la cultura, l?università. Da quest?anno si inaugura una nuova linea, quella del corporate fund raising, per avvicinarsi in modo sempre più professionale e consapevole al mondo delle imprese, in cui va maturando una crescente sensibilità verso la responsabilità sociale che ancora una volta ha bisogno di essere indirizzata in modo intelligente e costruttivo, e non strumentale a obiettivi immediati di legittimazione e di gestione del consenso. L?altra novità di rilievo è quella dei workshop, momenti di approfondimento tematico dedicati alla sempre più ampia comunità degli alunni della scuola, che esprimono il bisogno di un aggiornamento e di un confronto sempre più serrato su temi di grande attualità come quelli della cultura e dell?università. E per il futuro si preparano altre novità importanti. Perché il mondo della raccolta fondi cresce, e tutti abbiamo il dovere di crescere con esso. di Pier Luigi Sacco

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