Non profit
Donatore e beneficiario scommettono insieme
Fondazione Sviluppo & Crescita compie tre anni
La fondazione di venture philantropy è l’ultima creatura della Fondazione Crt, spiega il segretario generale Angelo Miglietta: «È un modo diverso di essere fondazione e di fare filantropia, più sostenibile e responsabile. E anche sobrio, lontano dalle donazioni a pioggia»
All’ufficio “finanza filantropica” si donano azioni. Non titoli di società, ma investimenti veri e propri. Che legano donatore e beneficiario a doppio filo su rischio, rendimento e impatto sociale. Qui, nel cuore della Fondazione Sviluppo & Crescita, grafici di Borsa e quotazioni dei derivati non contano un granché. Perché l’ultima creatura di Fondazione Crt, nata nel 2007 e dedicata alla venture philanthropy, ma più nota fra i 40 dipendenti dell’ente torinese come “sistema Miglietta”, tratta uno “strano” business, oltre confine, in una “no man’s land” che va al di là della staccionata del non profit ma prima che diventi campo del profit. «Siamo in quella zona grigia di investimenti che un soggetto privato non farebbe mai, perché troppo poco redditizio; che la pubblica amministrazione scansa perché a corto di fondi e che il terzo settore fatica a coprire per le dimensioni dei progetti». Angelo Miglietta, segretario generale di Fondazione Crt, definisce questo territorio come low profit, un investimento che assicura alti ritorni sociali con la prospettiva del mantenimento del capitale messo a disposizione.
Vita: Professor Miglietta, tre anni fa siete partiti con la venture philanthropy, un modello di donazione che risponde ai criteri dell’investimento simile al mondo del profit. Oggi qual è il bilancio delle vostre attività?
Angelo Miglietta: Abbiamo accantonato risorse per 219,5 milioni di euro, circa il 20% delle erogazioni. Una buona parte è già stata investita: abbiamo sottoscritto una quota (49 milioni) nel comparto immobiliare sociale ad uso collettivo del Fondo Social & Human Purpose, gestito da Ream sgr; l’iniziativa (12 milioni) di housing sociale “Ivrea 24 abitare sostenibile a Torino”, una casa- albergo residenza sociale che supera il concetto di gratuità con quello di sostenibilità: l’ingresso (1,5 milioni) in Pegaso Investimenti, una società che investe nelle Pmi del territorio; nella management company Jstone, per l’innovazione e il trasferimento tecnologico: abbiamo dato vita a Orione Investimenti, un veicolo utilizzato per effettuare investimenti di natura filantropica nel settore del venture capital; in Permicro, società che si occupa di microcredito; e contribuito alla sostituzione di circa 100 autobus a gasolio con altrettanti automezzi ecologici a metano. Oltre al ritorno sociale di queste operazioni è atteso un ritorno finanziario.
Vita: La venture philanthropy diventerà la vostra prima attività?
Miglietta: Dopo la fase di rodaggio, oggi la Fondazione Sviluppo & Crescita ha raggiunto una sua maturità. Ora ci attendiamo la raccolta di quanto abbiamo seminato e intanto pensiamo alla sua evoluzione. Ma intendiamoci: continuiamo a fare erogazioni “classiche” (nel 2009 il livello record di 175 milioni, ndr) e anche finanziare e produrre progetti. L’obiettivo, tuttavia, è dedicare almeno il 30-35% delle risorse a forme di investimento in venture philanthropy. Un modo diverso di essere fondazione e di fare filantropia, più sostenibile e responsabile. E anche sobrio, lontano dalle donazioni a pioggia.
Vita: Tra i 90membri dell’Evpa, l’associazione europea che riunisce i venture philanthropist, solo tre (Crt, Paideia e Oltreventure) sono italiani. Fondazione Sviluppo & Crescita resta una voce isolata. Diffidenza o difficoltà?
Miglietta: L’interesse per nuove forme di allocamento delle risorse, tanto più in un periodo di crisi, è molto alto. Prendiamo l’housing sociale, un tipo di operazione sostenuto da molte fondazioni, che cerca di rispondere al disagio della domanda abitativa con soluzioni concrete e sostenibili. Questo è un terreno tipico del venture philanthropy, attraverso cui l’ente non profit investe, progetta e partecipa al progetto. Tuttavia la normativa vigente non ci aiuta. Perché impedisce di utilizzare direttamente le erogazioni in questo campo, dovendo perciò ricorrere al patrimonio. E il nostro primo dovere, in quanto fondazione, è conservare e far crescere quel capitale, a disposizione della comunità anche per il futuro. Occorrono quindi business plan, ovvero una valutazione sulla sostenibilità di un progetto. E ritengo sia di grandissimo valore perché impegna il beneficiario a considerare le reali possibilità di successo della propria attività sociale. Si tratta di un circolo virtuoso, che se applicato su larga scala, può rilanciare il terzo settore.
Vita: Cosa intende per circolo virtuoso?
Miglietta: Stiamo studiando nuove forme di finanziamento per i giovani ricercatori. Vogliamo passare dal prestito all’erogazione d’onore. In sostanza cambia poco, ma cambia tutto. Perché il nostro impegno rimane lo stesso: concedere una borsa di studio. Solo che chiediamo che il giovane, una volta completati gli studi e avviato con successo una carriera, destini una piccola parte del suo salario a un fondo rotativo affinché altri, dopo di lui, ricevano una borsa di studio. Qui sta il cuore della venture philanthropy: un circolo infinito di sostenibilità e sostegno sociale.
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