Economia

Donadon: «La tecnologia fa solo bene al sociale»

Intervista al visionario fondatore dell'incubatore di idee web H-Farm e membro della task force 'Restart Italia', voluta dal ministro dello Sviluppo economico per rilanciare il paese. L'approfondimento sul numero di Vita in edicola domani

di Daniele Biella

Scrivi start up tecnologiche, leggi Riccardo Donadon. Veneto, 45 anni, è uno dei fiori all’occhiello della task force chiamata a raccolta dal ministro dello sviluppo economico Corrado Passera per elaborare il documento Restart Italia, le nuove linee guida in materia di start up d’impresa. È grazie alla visione di Donadon, direttore di H-farm ventures, azienda con sede a Roncade (Treviso) e presidente della neonata associazione Italia start up che il settore sta riscuotendo un interesse sempre maggiore e un riconoscimento a ogni livello. Vita (che sul numero di ottobre in uscita dedica un'approfondimento sul tema che haacceso un vivace dibattito) l’ha raggiunto per un’intervista a tutto campo.

Riccardo Donadon, qual è l’idea dietro H-Farm?
È un incubatore di idee che punta sui giovani: oggi conta su uno staff di 250 persone, a cui mettiamo a disposizione spazi e incentivi per le loro start up. Siamo in continuo sviluppo, presto saremo in 500. Lavoriamo in cinque casali nella campagna trevigiana, con il chiaro intento di recuperare zone dismesse ma ricche di storia e natura: lavorare con internet non deve significare perdere i contatti con la realtà che ci circonda.

Da chi ricevete i fondi per finanziare le start up?
Da privati. Compresi noi stessi: io e l’amico cofondatore di H-Farm abbiamo messo due milioni di dollari a testa. Poi è arrivato l’appoggio, tra gli altri, di Renzo Rosso, patron della Diesel, del gruppo Marzocco, e di banche come Unicredit e Intesa. Oggi eroghiamo 13 milioni di euro a 34 start up, quasi tutte nell’ambito delle nuove tecnologie: sono il velo che si può mettere sopra ogni cosa, mondo del sociale compreso.

È possibile coniugare start up tecnologiche e sociali?
Sì, l’importante è non creare un dualismo, piuttosto si deve puntare a usare sempre di più la tecnologia anche nel non profit. Faccio un esempio: una delle ultime start up avviate è una applicazione per smartphone che segnala alle persone con disabilità i posti riservati nelle Ztl delle città. Le start up che lavorano nel virtuale possono produrre risultati concreti oggi più che mai. Dopotutto la crisi accelera dei cambiamenti dei modelli di vita: la tecnologia è un arma in più per questo cambiamento, a cui si arriva per gradi e che può portare risultati positivi.

Cose ne pensa dell’esperienza di Restart Italia, di cui lei fa parte?
E’ importante che una persona attenta al settore come il ministro Passera abbia istituito questo gruppo di lavoro, il cui documento finale può giovare allo sviluppo delle start up e dell’Italia stessa. Si è svolto un lavoro più che concreto, e da parte di tutti c’è molta voglia di provare a tracciare una nuova strada per far sì che la tecnologia incida sempre più in ogni ambito, una sorta di velo che potenzia ogni cosa. Sociale compreso: in Restart Italia c’è una sezione dedicata alle social start up, curata dall’imprenditrice sociale Selene Biffi. In generale è un buon documento da cui partire, la cui validità è comunque tutta da dimostrare, così come la solidità a livello economico. È chiaro che oggi abbiamo in mano ancora poco, ma con quel poco perché non provare a crescere?

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