Vorrei condividere con voi, cari amici lettori, una riflessione sull’uccisione di don Ruggero Ruvoletto, freddato sabato scorso a Manaus in Brasile. Qualcuno penserà che sto invadendo il campo dell’amico Paolo Manzo che scrive “Latinos” direttamente da Oltreoceano. Ma avendo conosciuto Ruggero in Kenya a Nyahururu, non posso fare a meno di ricordarlo. La sua uccisione è l’ultima di lunga serie di uomini e donne che hanno dato la vita per la causa del Vangelo. Pertanto è doveroso chiedersi quale possa essere il valore aggiunto della loro vocazione rispetto ad altre professioni in cui la dimensione del pericolo è comunque evidente. Non sappiamo se la Procura di Padova aprirà un fascicolo per l’uccisione di questo missionario, freddato a pochi mesi dall’inizio dell’Anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI, ma siamo certi che dal Cielo ha comunque perdonato i suoi aggressori. Don Ruggero, è bene rammentarlo, era un sacerdote tutto d’un pezzo, innamorato della missione, testimoniando fino in fondo il mandato di Cristo, in una stagione della storia umana, la nostra, in cui un po’ tutti vantano una sorta di diritto di proprietà sulla missione. Poco importa che si tratti di comboniani, gesuiti, salesiani, saveriani o fidei donum, tutti coloro che appartengono a queste realtà ecclesiali non ricevono mercede alcuna, la loro è una scelta di vita totalizzante e soprattutto vanno in giro per il mondo disarmati. Hanno fatto la scelta di vivere nelle periferie del villaggio globale – in Africa, in America Latina, in Asia o Oceania – prodigandosi per i poveri, senza peraltro che la madrepatria sembri accorgersene più di tanto. È gente che spesso rischia la vita, viene sequestrata o addirittura uccisa nel quasi totale disinteresse della grande stampa, a meno che le loro vicende non siano particolarmente legate ai temi che vanno per la maggiore, quale ad esempio il fondamentalismo islamico. Se da una parte è opportuno riconoscere le competenze e dunque il valore delle varie professionalità sul campo, al di là del fatto che s’indossi la divisa, si operi nell’ambito di un’operazione di peacekeeping o di un’organizzazione non governativa; dall’altra non è lecito fare di tutte le erbe un fascio. Vi sono diversi modi di interpretare la solidarietà a partire proprio dai valori ispiratori che possono prescindere o meno dalle indennità, dai contributi o da qualsiasi altra forma di agevolazione. Oggi il nostro Paese ricorda doverosamente, con commozione i militari italiani caduti giovedì scorso a Kabul. Come credenti è istintivo associarsi al cordoglio nazionale, ma vorremmo nella stessa circostanza ricordare anche il nostro don Ruggero e i suoi familiari che lo stanno piangendo. Eh sì, perché lungi da ogni polemica, forse a nessuno e mai venuto in mente di proporre la celebrazione dei funerali di Stato per i missionari e missionarie uccisi nell’adempimento del loro dovere, dando peraltro lustro, anche loro, al Tricolore con la propria testimonianza. Ma forse proprio per questo è giusto dire che sono missionari con la “M” maiuscola. E di loro come credenti e cittadini siamo fieri.
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