Welfare

Don Rigoldi: «Ragazzi fragili che non dovevano essere al Beccaria»

L’ex cappellano del carcere minorile di Milano Beccaria don Gino Rigoldi è convinto che questi ragazzi capiranno l’errore commesso, «ma tra sovraffollamento, personale sotto misura, diritti negati e un carcere fatiscente da anni, quei ragazzi non dovevano essere in carcere a Natale e neppure prima»

di Luca Cereda

Nel pomeriggio del giorno di Natale sette giovani sono evasi dal carcere minorile di Milano Cesare Beccaria, nella parte occidentale della città. Sono due 18enni, un 19enne e quattro 17enni: quattro sono italiani, due di origine nordafricana, uno è nato in Ecuador. Due sono stati individuati dalla polizia nel tardo pomeriggio di domenica e riportati in carcere, un altro è tornato lunedì mattina, convinto dai genitori. Erano in carcere perché sottoposti a custodia cautelare per reati come furti e rapine commessi da minorenni: significa che non avevano ricevuto condanne definitive, ma il giudice aveva stabilito la carcerazione in attesa del processo.

Sempre domenica, verso le 22.30, all'interno del carcere è scoppiata una violenta protesta: alcuni detenuti hanno dato fuoco a materassi, un reparto è stato reso inagibile e quattro poliziotti sono finiti all'ospedale San Carlo per intossicazione da fumo. Solo a conclusione dell'intervento dei pompieri la situazione è tornata sotto controllo e i dodici ragazzi reclusi nella sezione sono stati trasferiti nella notte, anche per ragioni di sicurezza, in altri istituti di pena.

La fuga era cominciata alle 16: i sette si sono aperti un varco nella recinzione interna rompendo i pannelli di legno marciti che delimitavano il cantiere aperto nell’istituto di pena minorile milanese dal 2006 per lavori di ristrutturazione, poi sono saliti sull'impalcatura in cortile e hanno scavalcato il muro di cinta con l'ausilio di un lenzuolo, fuggendo a piedi lungo via Calchi Taeggi.

«Alcuni di loro avevano il permesso per andare a casa per le feste ma è stato loro revocato in seguito ad una infrazione disciplinare», spiega il garante dei detenuti di Milano, Francesco Maisto. La situazione è tornata sotto controllo solo a tarda sera e grazie all’intervento di don Gino Rigoldi, ex – e storico – cappellano del Beccaria: «Era Natale e questa festa accende la voglia di essere da qualche altra parte con i famigliari. Infatti i due giovani ritrovati o il ragazzo che si è riconsegnato erano in famiglia, dalla zia o dalla cognata. Volevano spaccare tutto per poterlo fare, non solo quelli scappati, ma tutti. Sono andato di corsa in carcere e dopo un po’ hanno smesso», racconta don Rigoldi.
Mentre nella legge di Bilancio – già aprovata dalla Camera – è previsto un taglio esplicito ai fondi previsti per la polizia penitenziaria, «i ragazzi sono tornati tutti sotto controllo e sono tranquilli», ha riferito ancora l’ex cappellano. «La vivono come un’avventura, a questa età non sono ancora del tutto consapevoli, ancora di più per il fatto che erano in carcere senza essere stati condannati. Questi sette la pagheranno cara e anche più in generale ci sarà un restringimento della disciplina. Ma sono certo che questo non l’avevano in mente quando sono fuggiti. Ora andranno a finire in altre carceri in giro per l’Italia».


All’interno del Beccaria ci sono 46 ragazzi per una capienza massima di 31. Il direttore del dipartimento giustizia minorile, Cacciapuoti è stato nelle scorse ore in visita al Beccaria, dove ha annunciato l’assunzione di nuovi educatori e la formazione di 57 nuovi direttori per carceri minorili e di adulti. Tutto però già previsto da tempo. «Anche se la situazione è tornata normale, e alcuni ragazzi hanno dato una mano a rimettere in ordine, il Beccaria resta in una situazione di grande difficoltà», commenta l’attuale cappellano del Beccaria don Claudio Burgio e fondatore della comunità per giovani Kayròs. È lui che negli ultimi anni ha raccolto l'eredità di don Gino Rigoldi: «Da quando sono in carcere, ovvero moltissimi anni, tanti che non li ricordo più, la situazione è diventata, via via, sempre più difficile. Infatti il Beccaria è stato lasciato sempre più a sé stesso, sia per quanto riguarda la struttura che per il personale. Si è fatta la scelta di ripiegare invece che investire per il recupero di ragazzi in carcere, come quelli fuggiti, prima del giudizio e per reati come piccole rapine, furti e micro-criminalità. Quanto accaduto il giorno di Natale è il risultato di questo abbandono». Un fatto che si trascina da anni, secondo don Burgio. Come lui, le associazioni di volontariato che operano all’interno, sono in molti a darsi da fare per invertire la rotta, «a partire dalle direttrice che ha sommato questo compito a quello di vice responsabile del carcere. Ma servirebbe una maggiore stabilità. Sono anni che andiamo avanti rattoppando i problemi più evidenti e riducendo la qualità effettiva del trattamento dei ragazzi. Un direttore manca da tempo anche se ora hanno annunciato che verrà nominato entro settembre 2023. Vedremo. Come la promessa di non cambiare gli agenti ogni dodici mesi come succede oggi. E anche gli educatori sono sottoposti ad un importate ricambio e questo non permette ai giovani di avere un riferimento fisso e di portare avanti un percorso educativo efficace».

Per via della repressione della rivolta avvenuta in seguito alla fuga, ora i ragazzi sono costretti in cella tutto il tempo e «il fatto di restare molto dentro una piccola cella ha un impatto significativo su ragazzi fragili. E di conseguenza c'è da registrare un aumento dell'uso dei medicinali. Tutto sotto stretto controllo medico, naturalmente, ma che non sarebbe forse necessario se i percorsi educativi e formativi potessero funzionare come alcuni anni fa. Il tutto, voglio ancora sottolinearlo, al di là del grande impegno di tutti: agenti, educatori, impiegati. Senza dimenticare il grande supporto che arriva dal volontariato, un grande dono di Milano», conclude Burgio. L’episodio è stato definito “grave” dal Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, che però in una nota ufficiale scrive che è sbagliato gettare disvalore su un sistema che funziona. Piuttosto, bisogna riflettere sulla «maggiore difficoltà che la privazione della libertà determina oggi in giovani complessivamente più fragili che in passato».

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