Formazione

Don Milani 100%

Valter Veltroni annuncia di voler celebrare al Lingotto la figura del controverso Priore di Barbiana, cominciando dal suo più famoso slogan.

di Walter Mariotti

I care. Ieri il motto di don Lorenzo Milani, oggi quello di don Valter Veltroni. Dopo aver trasformato Kennedy in marxista e Berlinguer in liberale, l’americanissimo segretario diessino – che si farà comunque eleggere con una prassi bulgara – è riuscito a metabolizzare anche il priore di Barbiana, diventata per l’occasione “uno dei luoghi della migliore Italia”. Un capolavoro che soltanto Veltroni poteva fare. Ma questa volta il maestro del lifting e del morphing casca male. Con il prete fiorentino infatti il docente del pensiero di sorvolo non si ha a che fare con uno dei suoi soliti noti, bensì con Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, ebreo convertito classe 1923, uno dei personaggi più interpretati e meno rispettati della seconda metà del Novecento. Un prete “ortodosso” e “preconciliare”, un educatore rigidamente in tonaca per alcuni addirittura “manesco”. Trasformarlo nel simbolo della sinistra buonista e volatile che si riunirà a Torino a celebrare il terzo millennio sarà impresa ardua, anche perché il vero don Milani era molto diverso dall’immagine che sarà evocata al Lingotto. Proviamo a rinfrescare la memoria di Valter riproponendo, in una sorta di dizionario, chi era don Lorenzo Milani.

Cattolici
«Mi sarà facile dimostrarvi che ho parlato da cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore. A noi cattolici Dio ha parlato. A noi non può dunque far difetto la luce. Peccatori coime gli altri, passi. Ma ciechi come gli altri, no. Noi i veggenti o nulla, se no val meglio l’umile e disperato brancolare dei laici. Io non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa. Non ho nessuna fretta di portare i giovani alla Chiesa perché so che cascheranno da sé nelle sue braccia appena si saranno accorti di essere delle povere creaturine ignare del futuro e di tutto, piccole e sporche creaturine buone solo a far porcherie, a vantarsi, a pensare a se stesse. Quel giorno dove vuoi che si rivolgano? Al marxismo? Al liberalismo? Al protestantesimo? All’ateismo? Si rivolgeranno là dove si assolvono i peccati e si promette, anzi si assicura, il perdono di Dio e la Vita Eterna».
Ma inguaribilmente nostalgico, Veltroni continua a vedere don Milani come glielo presentarono negli anni Sessanta: una guardia rossa del cattolicesimo, un comunista a modo suo, senza tessera e con la fede religiosa, un anticipatore del Concilio e delle comunità di base. E’ rimasto l’unico. Tutti infatti sanno ormai che il prete fiorentino incarnava piuttosto il paradigma opposto.

Comunisti
La dottrina del comunismo non val nulla. Una dottrina senza amore. Una dottrina che non è degna di un cuore di un giovane. Avesse almeno realizzazioni avvincenti. ma nulla. Uomini insignificanti, un giornale infelice, una Russia a difenderela ci vuol coraggio. E io dovrei farmi battere da così poco? Io che ho una dottrina che pare fatta apposta per incendiare un cuore di giovane. Una dottrina che per secoli ha portato migliaia di giovani al martirio e al chiostro, sorridenti».
Da molto tempo però Veltroni non è più marxista ma liberale, talmente liberale che ha preferito farsi eleggere dai suoi delegati prima ancora del congresso, trasformando quei quattro lunghissimi giorni in una convention virtuale, dove lui – sulle note di Sting e di John Lennon – presenterà “un partito non arrogante, non presuntuoso, non protervo”. Ecco invece come si esprimeva don Milani su un tema come la povertà Veltroni e i Ds sarebbero d’accordo?

Poveri
«A me non importa nulla che i poveri ci guadagnino (questo fatto non ha infatti nessun peso per la venta del Regno), mi importa solo che gli uomini smettano di peccare. E l’ingiustizia sociale non è cattiva (per un prete) perché danneggia i poveri, ma perché è un peccato, cioè offende Dio e ritarda il Regno. Voler bene al povero, proporsi di metterlo al posto che gli spetta, significa non solo crescergli i salari, ma soprattutto crescergli il senso della propria superiorità, mettergli in cuore l’orrore di tutto ciò che è borghese, fargli capire che soltanto facendo tuto al contrario dei borghesi potrà passar loro innanzi e eliminarli dalla scena politica e sociale. Voi ai poveri non fate nulla quando parlate di loro ai non poveri».
Certo anche Veltroni pensa ai poveri, lo ha fatto trasformando il partito degli operai nel partito dei nuovi borghesi. Valter pensa anche alla scuola, ma non esattamente nei termini in cui la voleva don Lorenzo:

Scuola
«La scuola statale è una fogna di propaganda dove non regna nessuna libertà d’idee ma solo conformismo e corruzione. Meglio un professore all’antica, d’uno che crede d’esser moderno perché ha mutato le etichette. Un ragazzo che ha un’opinione personale su cose più grandi di lui è unimbecille. non deve aver soddisfazione. A scuola si va per ascoltre il maestro. Tirar su figlioli più grandi di lei, così grandi che la possano deridere. Solo allora la vita di quella scuola o di quel maestro ha raggiunto il suo compimento e nel mondo c’è progresso».

Rendersi antipatici
I care ripete però Veltroni, e sbaglierebbe di grosso chi pensasse che è semplicemente incoerente. Forse più semplicemente non ha mai letto questi altri passi di don Milani:
«Ecco l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza. Stare sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici, noiosi, odiosi, insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno Grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo».

Lavoro
«Giorgio è sposato e disoccupato da due anni, cioè da quando è babbo. E’ un omone grande e grosso, conosce la sua arte (è filatore), vive sempre in grazia di Dio e poi non ruba, non incendia grattacieli, non aderisce alla Cgil, vota per i signori come vuole il cardinale Ottaviani. Ma è stato licenziato».

Giustizia
«Un mio vecchio amico ha rubato quaranta cipolle in un orto. Ha avuto tredici mesi di galera senza condizionale. Il giudice le cipolle non le ruba. Troppa fatica. Dice alla cameriera che gliele compri. I soldi per le cipolle e per la cameriera li guadagna la moglie con le ripetizioni».

Potere
Qualche suggerimento da don Milani per chi ha responsabilità di governo:
«Non ha nessuna importanza se chi comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni risponderà lui davanti a Dio. Ha però importanza se ci comanda cose buone o cattive, perché delle nostre azioni risponderemo noi davanti a Dio».

Nonviolenza
«Ho evitato apposta di parlare da nonviolento. Personalmente lo sono. Ho tentato di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati, per quanto ho potuto, verso i sindacati (le uniche organizzaioni che applichino su larga scala le tecniche nonviolente). Ma la nonviolenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sula legge dello Stato lo è certamente. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede».
Una cosa è certa: al congresso i delegati contrari al segretario avranno ampia libertà, anche se non potranno scontrarsi in nessun modo, su nessun problema, argomento o programma. «Non discuteremo di linee politiche o culturali» ha anticipato Pietro Folena, «ma discuteremo come fare un partito nuovo». Don Milani invece invitava chiaramente a discutere, a compromettersi, a schierarsi.
Lotta
«Bisogna essere combattivi, cioè schierati e l’unico dovere che resta è di non trascurare le occasioni di scontrarsi coi nemici per accorgersi che singolarmente meritano pietà. Ma ho detto scontrarsi e non incontrarsi, perché una patetica stretta di mano inneggiando all’amore universale e avendo cura di non toccare tasti delicati e argomenti scottanti non rimedia nulla e non è nemmeno onesta».

Giochi
Insomma, prendere un modello così non è facile, non ce la si cava con poco. E’ un impegno, un peso, una rottura di scatole. Sentite qui:
«Se il mondo corre bendato verso l’abisso baloccandosi con la televisione e col pallone, non facciamolo noi».

Amore
«Io faccio il parroco e come bene! E poi faccio il maestro e come bene! E amo i miei superiori e confratelli fino al punto di lasciarli cacare sul mio onore a loro piacimento. Sei tu sicuro che il precetto dell’amore per i nemici obblighi a qualcosa di più che non questo, non vendicarsi? Io non ne sono sicuro, se no non direi Messa».

Fatti
«Non si rimedia con le parole ciò che si è malinsegnato con i fatti».

Un giovane borghese innamorato dei poveri

Lorenzo Milani, figlio di una famiglia dell’alta borghesia fiorentina, nasce il 27 maggio del 1923 da Albano Milani, poeta e filologo, e Alice Weiss, donna colta di origine ebrea. In casa sono agnostici. Lorenzo è un ragazzo cagionevole di salute e non sarà mai uno studente modello; nel ‘41 rifiuta d’andare all’università per dedicarsi alla pittura. Nel ‘43 si converte, entrando in seminario contro il parere della famiglia. Nel ‘47, la prima destinazione da cappellano: il borgo operaio di San Donato di Calenzano, dove elabora il catechismo storico e fonda la scuola popolare. Il 6 dicembre 1954 arriva a Barbiana. Nel ‘58 pubblica “Esperienze pastorali” di cui il Sant’Uffizio ordina il ritiro dal commercio giudicandolo “inopportuno”. Nel ‘60 arrivano i primi sintomi del tumore ai polmoni, malattia che lo porterà alla morte. Nel 1965 scrive la “Risposta ai cappellani militari” che avevano definito l’obiezione di coscienza “espressione di viltà”. Viene quindi denunciato da alcuni ex combattenti e processato; scrive la “Lettera ai giudici”. Nel 1966 è assolto. Nonostante la malattia prepara “Lettera a una professoressa”. Muore il 26 giugno 1967, a soli 44 anni.

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