Digitale e responsabilità
Don Luca, Jaki e quel “like” da parte di mister Facebook
Mark Zuckerberg, fondatore del più vecchio dei social network con oltre 3 miliardi di utenti, ha annunciato tre nuovi ingressi nel consiglio di amministrazione di Meta. Tra questi c’è John Elkann, amministratore delegato di Exor e presidente di Stellantis. Su quale impatto potrà avere questo incarico abbiamo riflettuto con don Luca Peyron, fondatore e direttore del Servizio per l'Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino, ideatore della Fondazione italiana sull’intelligenza artificiale per l’industria
Mark Zuckerberg ha annunciato tre nuovi ingressi nel Consiglio di amministrazione di Meta. Tra questi c’è John Elkann, amministratore delegato di Exor e presidente di Stellantis e Ferrari. In un post su Facebook, il fondatore e ceo di Meta si dice entusiasta di averlo a bordo insieme a Dana White, presidente e ceo della UFC, e Charlie Songhurst, investitore tecnologico che in precedenza ha guidato team strategici alla Microsoft.
Del presidente di Stellantis, l’azienda automobilistica di cui tanto si è scritto negli ultimi mesi, Zuckerberg scrive: «Ha una profonda esperienza nella gestione di grandi aziende globali e porta una prospettiva internazionale al nostro consiglio». Su quale impatto potrà avere questo incarico abbiamo riflettuto con don Luca Peyron, giurista, fondatore e direttore del Servizio per l’Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino, ideatore della Fondazione Ai4Industry, il centro con sede a Torino che si pone l’obiettivo di presidiare le applicazioni dell’intelligenza artificiale ai settori industriali, a partire da aerospazio e automotive.
Dall’automotive ai prodotti digitali
«Innanzitutto, credo che questa operazione segni un interesse legittimo per una fetta di mercato promettente», spiega don Peyron. «La domanda è se questo interesse significhi un disinteresse (anche questo legittimo) per altre fette di mercato meno promettenti. Si tratta di uno spostamento di interesse o di uno spostamento di interessi?».
Don Peyron, che ha una competenza giuridica approfondita nell’ambito del diritto industriale, riflette sulle differenze profonde che esistono tra l’economia legata a un settore come l’automotive e quella basata sulla tecnologia. «Mi spiego. Costruire automobili ha un fattore keynesiano: quel tipo di industria restituisce alla società benessere perché per realizzare un’automobile è necessaria una catena legata al prodotto che garantisce a sua volta un ritorno rispetto alla società. Il digitale, invece, non ha quel fattore: crea enormi plusvalenze ma queste non comportano un ritorno generalizzato come accade per l’industria tradizionale. Spostare capitali da un modo di fare impresa che genera bene comune a un tipo di impresa che non genera bene comune non è un’operazione a somma zero. Per creare la copia di un’automobile ci va uno stabilimento, per fare la copia di un prodotto digitale è sufficiente un hard disk».
Una responsabilità sociale non banale
C’è un altro aspetto su cui il sacerdote pone l’attenzione. «Stiamo parlando di una società che ha una responsabilità non banale rispetto al futuro dell’umanità», spiega. «I social network esercitano un potere in termini di capacità di incidere sui costumi e sulla cultura. Io sono nato nel 1973 e ho sempre scattato fotografie in orizzontale, mia nipote che è nata nel 2010 le scatta in verticale. Questo significa che, per fare una foto di gruppo, dovrò renderlo talmente piccolo da risultare irriconoscibile. Il verticale è molto più legato all’io, l’orizzontale ha a che fare con il noi. Non è una critica ma un esempio di come questi strumenti siano in grado di generare una cultura differente. Non necessariamente peggiore, differente. Proprio perché Meta ha la capacità di generare una cultura differente, è importante che sia una cultura che custodisca l’umano nella sua essenza, una visione che sia giusta ed eticamente accettabile, non soltanto legalmente accettabile».
Una macchina che abita il pensiero
E sul futuro? «Se questa operazione significa che le grandi imprese del digitale reinvestono parte degli utili nel fare impresa con fattore keynesiano e quindi con ritorno per la società, evviva. Se si tratta semplicemente di decidere dove usare con finanza più o meno creativa delle plusvalenze, questo alla lunga significherà uccidere il mercato. Il monopolio è legittimo nella misura in cui permette la crescita della società: se il monopolio è inscalabile, il sistema collassa su se stesso».
Per Torino, il post che in pochissimo tempo ha fatto il giro del globo ha un significato in più? «La Fiat degli Anni ‘50 e ‘60 è stata capace di creare un ecosistema di fiducia e welfare, con un’attenzione alle persone di cui Torino (e non soltanto Torino) ha giovato moltissimo. Oggi la città e Stellantis sono due mondi separati». All’ombra della Mole, però, c’è la Fondazione italiana per l’Intelligenza artificiale, «una nuova narrazione per il futuro di questa città, fondamentale per presidiare una macchina che abita il pensiero».
Le immagini in apertura sono di Nicolò Campo (la fotografia di don Peyron) e Alberto Gandolfo (la fotografia di John Elkann) / Lapresse
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